Bio

sabato 29 dicembre 2012

da "Il Giornale" di oggi (Cronache di Milano): Barona. Crepe sulla strada, transenne anche a scuola.

POST PUBBLICATO IN DATA 30 DICEMBRE 2012. L'immagine allegata al post illustra la fisionomia di una roggia sotterranea, ma NON si tratta della "Roggia Paimera"



«Non si verificheranno mai i danni di Napoli o Palermo», dice un poliziotto in via Balsamo Crivelli (zona Barona). Le intenzioni sembrano quelle di riportare al più presto strada e strutture - probabilmente a rischio crollo - a norma di completa sicurezza.
Ma oggi è un labirinto di transennne, via Balsamo Crivelli. Al numero 3 c’è un Istututo Statale di scuole elementari e medie: la scuola “Tre Castelli“. Se all’uscita, sui marciapiedi ghiacciati, incontri genitori e nonni, e chiedi loro perché sia in atto un provvedimento di sicurezza, la risposta è sempre: «Dicono ci sia un problema su quella strada. Proprio là», e indicano una porzione d’asfalto indistinta, tra un marciapiede e l’altro perpendicolari all’edificio. Parlare con la preside è praticamente impossibile. Saperne di più, tra le mura della scuola, un’altra sequela di «nì» e «non so». Nel cortile tutto pare scorrere normalmente: i bambini escono addirittura cantando. Le vacanze natalizie dispensano buonumore e un commiato alla routine.
Sono davvero al sicuro, queste mura smussate e solcate da rughe (una faccia ordinaria, quella della “Tre Castelli“), blindate in un recinto di transenne? Dal comando dei vigili, sia pure non ufficialmente, trapela che il problema sia una roggia (canale sotterraneo del quale il sottosuolo lombardo è notoriamente ricco): precisamente la «Roggia Paimera», una volta dal diametro di due metri, che avrebbe subito dei danni e presentato delle crepe. È l’Assessorato ai Lavori Pubblici a precisare che, nei prossimi giorni, saranno effettuati sopralluoghi da parte del Comune e, in via eccezionale, di Metropolitana Milanese (in convenzione col Comune di Milano per la manutenzione di queste aree): si predisporrà un intervento sulla Roggia Paimera e poi sul sedime stradale.
Benché non ci siano ancora segnali d’allarme sulla strada - ci spiegano - la Polizia Locale ha stilato un comunicato sulla viabilità della zona. La circolazione più compromessa in questo periodo riguarda le zone di Via Giussani e Via Chiodi. Il pericolo potrebbe essere un cedimento, o addirittura il crollo della carreggiata. Fotografie della roggia sono nelle mani della polizia: impossibile, per adesso, anche solo dare un’occhiata. Ma dall’Assessorato alla Sicurezza e Coesione Sociale del Comune di Milano, la conferma è che per il momento nulla di allarmante è accaduto sulla strada, nonostante gli smottamenti sul terreno siano evidenti. Le crepe della roggia sono state riscontrate, dunque, a seguito di una ispezione: le fessurazioni riguardano il fondo e la volta della roggia. Ed è anche per raggiungere via Tre Castelli che la Polizia consiglia, in questo periodo, un percorso alternativo sicuro. Ci sono infatti zone in cui le telecamere sono state disattivate e la segnaletica, addirittura, velata.

martedì 25 dicembre 2012

Che potenza!



Che potenza, i baci in bianco e nero. Bocca a bocca per un solo istante infinito, violento. Bocche serrate, come a trasferire di bocca in bocca un segreto. Bellissimi. E molto più sensuali di quelli di oggi...





(Buon Natale!)

domenica 23 dicembre 2012

DA "IL GIORNALE DI OGGI" (CRONACHE DI MILANO): "La vigilia diversa delle clarisse milanesi"

POST PUBBLICATO IN DATA 24 DICEMBRE 2012



C’è Natale e Natale. Nei monasteri di clausura di Milano (la città ne custodisce ben quattordici), il Natale è «una centrale elettrica di preghiera per il mondo». Tutti insieme, ciascuno a modo suo. In via Santa Sofia, al Monastero della Visitazione, uno dei primi argomenti con le suore che ci aprono i cancelli è la sorpresa sotto l’albero di Papa Ratzinger: la sua iscrizione a Twitter. «“Suit“? Davvero? E cos’è?». Twitter, non “suit“. Un mondo intero chiuso in una bolla di silenzio: un po’ come questo, ma di tutt’altra specie. Papa Benedetto, in teoria, lo conosce. Ma le suore di clausura “visitandine“ nel cuore di Milano non ne hanno la più pallida idea. «Mi spiace ma noi non utilizziamo questi mezzi moderni. - spiega la monaca. - E poi perché adoperare sempre queste parole inglesi?».
Questo luogo ha trecento anni. Sono due le tuniche sedute dietro una grata. Il loro sarà un Natale di preghiera, di «meditazione, e ciascuna medita in modo personalissimo». Ma la Madre Superiora - l’unica a leggere i giornali, che alle altre trasmette i titoli de L’Osservatore Romano e Avvenire - dà una sorta di traccia da seguire nelle preghiere. Il 25 dicembre si penserà alle vittime della strage nel Connecticut, per esempio. E il pranzo? «Un risotto, forse un pasta in brodo, e abbiamo tanti panettoni. Non manca niente... A parte la scelta». La suora a sinistra ha settant’anni, ha preso i voti a ventiquattro. «Ho la quinta elementare - racconta - , perché una volta studiare era molto costoso. Ho assistito mia sorella, che era malata, e ho potuto seguire la mia vocazione solo quando è guarita». Questa suora è cresciuta a Inveruno e, giovanissima, lavorava in pubblicità per una smalteria. L’altra invece si occupava di assistenza ai minori. La «chiamata» per lei è arrivata a quarantanove anni. Se è mai stata innamorata di un uomo? «No», risponde sorridendo, ma senza tradire un filo di timidezza.
Le mura sono alte e, porta dietro porta, cortile dietro giardino, in un perimetro che sembra blindato ai mortali, puoi restare materialmente incastrato. «Aveva paura che chiudessimo anche Lei?» scherza allora un’altra suora. Là fuori, il traffico assordante e la «movida» di Milano. Il silenzio, qui, è impenetrabile e al tempo stesso accogliente: una forma di maternità, di simbiosi con «l’ospite interno» che ciascuna delle suore adora e professa per tutta la vita. E nel silenzio (per loro sinonimo di “ascolto“) sarà anche il Natale. Ma queste mura - sorge spontaneo chiedersi - sono più un rifugio o una prigione? «Una prigionia d’amore» disarma la suora più anziana, col tono di una moglie sedotta e felice dopo cento anni di matrimonio.
Poi c’è Gertrude, Madre Priora di un altro Monastero: quello delle Benedettine del Santissimo Sacramento (in via Colonna): ha settantacinque anni, il nome della Monaca di Monza, ma lei sì che conosce il web: il Suo Natale alle porte ce lo racconta in una email: «Uscirò dal coro monastico nella navata esterna per deporre la statua di Gesù Bambino nel grande presepio. Poi ci scambieremo gli auguri con le sorelle - prosegue Madre Gertrude -, e ciascuna troverà alla porta della propria cella un pacchetto con regalini personalizzati e una lettera scritta dalla Madre a nome di Gesù Bambino con un pensiero speciale adatto alle singole sorelle». La suora più giovane, nel suo monastero, ha ventinove anni; Madre Gertrude invece entrò nel chiostro quando ne aveva ventuno e frequentava il terzo anno di Filosofia. Il valore aggiunto delle donne nel clero? Secondo lei, «l’inclinazione a custodire la vita, a donare se stesse, a intuire il cuore degli altri: doti complementari a quelle dell'uomo. La loro testimonianza nella chiesa è indispensabile».

domenica 16 dicembre 2012

Top Ten di una collaboratrice...



3 mesi a partire da oggi. Qui. Nel cuore di una città (il capoluogo lombardo) che non avevo mai conosciuto a fondo: e che per 3 mesi, appunto, chiamerò “casa”. Si parte dalla redazione delle Cronache di Milano: è qui che comincia la mia “esperienza fisica” al Giornale. Un’avventura tutta nuova, che mi ha accolta tra asfalti umidi e luminosi, tappeti di neve, vapori gelati di nebbia. (Qui sì che sembra "quasi" inverno…)

Ad ogni modo, ho preparato per il mio blog un breve riepilogo dei miei servizi più importanti di questo lungo anno. Ho scritto oltre ottanta articoli, nel corso della mia collaborazione (a gennaio 2013 saranno già due anni!), ma ho pensato a una piccola TOP-TEN del 2012: la più variegata e ispirata possibile. Per ricordare sulle mie stesse orme – dieci orme rigorosamente selezionate, in mezzo a moltissime che pure ho adorato produrre e per le quali ho svolto interviste e ricerche memorabili – il percorso verso questo piccolo, provvisorio ma importantissimo sbarco…

1) 29 dicembre 2011. Muore la povera Cita, la compagna storica del Tarzan degli anni ’30. Lo scimpanzé era il più longevo al mondo. Ne parlano giornali e tg: su “il Giornale”, ne parlo io, in prima pagina: ADDIO A CITA, HA VISSUTO PIU’ DI TARZAN.

Tarzan ha perso la sua migliore amica. O, chissà, l’ha ritrovata in un mondo migliore.
Si è spento il 24 dicembre scorso, presso il Suncoast Primate Sanctuary di Palm Harlbor, lo scimpanzé Jiggs Juniour, interprete della leggendaria Cita, l'’inseparabile scimmietta dell’uomo che sfrecciava nella giungla a bordo di filanti liane. Tarzan, appunto, per il suo pubblico eterno. Erano gli anni ’30: l’attore protagonista era Johnny Weissmuller, scultoreo campione olimpico che sarebbe passato alla storia per un urlo che neanche un gorilla purosangue, l’amore per la graziosa Jane, e infine (o soprattutto) questa scimmietta che fu una prerogativa del film: un personaggio che nelle avventure letterarie di Tarzan non era mai esistito.
[continua a leggere qui: http://www.ilgiornale.it/news/addio-cita-ha-vissuto-pi-tarzan.html ]

2) 30 gennaio 2012. PROPOSTA CHOC: LA VITA DELLE BALENE VADA ALL’ASTA.

Moby Dick è sotto assedio: la sua pelle lucida, guizzante, la pelle della regina indiscussa dei mari, vale un vero patrimonio. Per i commercianti giapponesi, 27 euro al chilo la balena dell’Antartico, e circa 900 quella pescata a largo delle coste del Giappone. Nell’'Antartico, almeno, non si pesca più: l’organizzazione di Sea Shepherd ha costretto il Sol Levante a capitolare, in queste acque. Cessare completamente la mattanza delle balene? Magari. L’Australia lo chiede a suon di azioni legali presso la Corte Internazionale di Giustizia. Ma se la caccia al mammifero d’acqua più affascinante del pianeta è vietata a scopi commerciali dal 1986, diventa perfettamente a norma di legge quando lo scopo ufficiale è la ricerca scientifica. È così che le baleniere nipponiche continuano a navigare per mare aperto, nel nord-ovest del Pacifico, con obiettivi sempre più ambiziosi (il culmine è una spedizione partita solo lo scorso dicembre) per esplorare gli stomaci e il prezioso Dna di 900 cetacei.
Una pratica, braccare Moby Dick, che piace anche alla Norvegia e all’Islanda. Ma cosa ci si potrà inventare perché questa caccia diventi uno «sport» meno agevole e gradito? Tre scienziati della rivista Nature avanzano una proposta singolare…
[Continua a leggere qui: http://www.ilgiornale.it/news/proposta-choc-vita-delle-balene-vada-all-asta.html ]

3) 18.2.2012. GOOGLE SOTTO ACCUSA: «SPIA CHI NAVIGA CON IL TELEFONINO»

Al confine tra il sogno e l'incubo, penseranno i più. Del resto, è l'era dei social network, e la tracciabilità dei nostri nomi, cognomi e pensatoi simultanei non fa più specie nessuno. Almeno finché crediamo di tenerla sotto controllo. Ma - lo dice il Wall Street Journal - le cose non stanno così: c'è qualcuno che ci spia e segue una ad una le nostre orme sul web. E l'indice della testata statunitense è puntato proprio su Google, il motore di ricerca più cliccato e frequentato del mondo, la madre, appunto, di tutte le investigazioni in rete.
La scoperta è del ricercatore di Stanford Jonathan Mayer: Google ha sfruttato i codici contenuti in Safari (il navigatore dei dispositivi Apple) per penetrare nel mondo di milioni di utenti: in questo caso, possessori di Mac, iPhone e iPad. [ continua a leggere qui
: http://www.ilgiornale.it/news/google-sotto-accusa-spia-chi-naviga-telefonino.html ]

4) 13.3.2012. Nessuno lo sa: ma il nuovo doppiatore di Woody Allen, dopo la scomparsa di Oreste Lionello, è Leo Gullotta. Ho il privilegio e la fortuna di scoprire questo “turnover” prima che sia ufficiale: cerco Leo Gullotta per un’intervista esclusiva. Lo scoop viene battuto da agenzie, ripreso da testate cartacee e telegiornali. «WOODY ADESSO E’ MIO. DOPO LIONELLO TOCCA A ME DOPPIARLO»

Quando, nel 2009, Oreste Lionello si spense, il lutto arrivò oltreoceano. «Una cosa è certa - disse Woody Allen -: grossa parte della mia popolarità in Italia è legata a lui. Mi ha reso un attore migliore e una persona più divertente. Che fortuna essere doppiato da un uomo così». Non mancarono i dubbi, né per Allen né per il suo pubblico nel nostro Paese, su chi potesse accogliere uno scettro tanto esclusivo: l’eredità quasi mistica di un feeling tra lui, regista e attore di marca inconfondibile, e l’interprete che aveva raccontato in italiano tutto il suo cinema. Blindata nel riserbo più stretto, la decisione del conclave. In lizza, si diceva, c’era una decina di doppiatori. E i giochi sembravano ancora aperti. Sbagliato. La nuova voce di Woody Allen ha tanto di nome e cognome, un curriculum noto ai più, e soprattutto una militanza ventennale nella stessa compagnia di varietà di Lionello. Così Leo Gullotta (66 anni) ci racconta di aver accettato una sfida che sembrava impossibile. [Continua a leggere qui http://www.ilgiornale.it/news/spettacoli/woody-adesso-mio-lionello-doppio-io.html ].

5) Questa è invece un’INCHIESTA. Che ho svolto all’indomani della tragica vicenda di Barletta: una giovane donna avvelenata da sorbitolo acquistato su internet. 26.3.2012. (Simonetta Caminiti). PSICOFARMACI E PILLOLE BLU: ECCO COM’E’ FACILE COMPRARE ONLINE.

Che il mercato on line offra proprio di tutto non è un mistero. Un taglio alla ricerca dei negozi, uno, qualche volta, perfino alle spese. Ma se i prodotti on line (pescati a scatola chiusa) hanno un pericoloso voltafaccia sulla qualità, un acquisto farmaceutico può risolversi in tragedia. Potrebbe essere successo a Barletta solo due giorni fa: una donna di 28 anni è morta avvelenata da sorbitolo, una sostanza impiegata di routine negli esami per le intolleranze alimentari, e altre due pazienti hanno accusato gravi malori. Con molte probabilità, il farmaco era stato acquistato su Ebay: venduto da uno studio medico inglese e proveniente - pare - dalla Cina. Sono tre gli indagati per omicidio colposo e lesioni gravi. E le forze dell’ordine hanno dato il via a una vera e propria caccia alla distribuzione del sorbitolo in tutta Italia: in serata ne sono state sequestrate mille tonnellate dai Nas in due ditte a Rovigo e Mantova, che dovranno ora essere analizzate.
Le cure del web, appunto. È qui che abbiamo tentato una ricerca, e scoperto che l’offerta di farmaci che richiedono prescrizione medica non è un miraggio. [Continua a leggere qui: http://www.ilgiornale.it/news/interni/psicofarmaci-e-pillole-blu-com-facile-comprare-line.html ]

6) Qui invece si parla di un fenomeno che ho scoperto per caso, e del quale si occupò anche la Fox Tv americana. Una storia ai limiti dell’incredibile… per quanto, paradossalmente, sia impossibile non comprendere le ragioni del suo successo. Ragioni ancestrali, mezzi moderni: IL SITO CON FINTE CORTEGGIATRICI CHE RIFA’ LA REPUTAZIONE AI BRUTTI (di Simonetta Caminiti). Il lunedì successivo, su “il Foglio” di Giuliano Ferrara, il mio pezzo viene presentato nella rassegna stampa della settimana.

Ancora qualche tempo e ne faranno un film. Una storia a metà tra Pretty Woman e C'è posta per te, ma col retrogusto di Peter Pan e la sua isola di sogni, sfide e speranze. Quell'isola che oggi, parola degli americani, è a portata di click. Qualcosa di simile deve aver pensato Cody Krecicki: il suo nome suona simile a uno scioglilingua, ha 22 anni, e il suo volto imberbe non rende giustizia al modo lucido e audace in cui tratta il mercato. Cody ha creato il sito americano GirlfrienHire.com, un portale online sul quale molte donne (tutte giovani e di gentile aspetto) offrono «prestazioni da fidanzate». Cinque dollari a gettone. Cinque dollari per un sms, cinque per una videochiamata, cinque per una videochat. Ma il piatto forte è Facebook. Escludendo (in termini molto rigorosi) servizi «hot», le ragazze di GirlfriendHire.com possono pubblicare sulla bacheca di chi le «noleggia» messaggi e fotografie. Lo scopo? Attirare l'attenzione degli altri, nella miglior tradizione dei social network. [Continua a leggere qui: http://www.ilgiornale.it/news/interni/sito-finte-corteggiatrici-che-rif-reputazione-ai-brutti.html ]

7) 17.4.2012. Dimenticavo questo! Un pezzo scritto pensando poco, e sentendo moltissimo. Una lettrice scrive alla segreteria del Giornale per ringraziarmi per le parole che ha letto in questo articolo. Sono io che non so come ringraziare lei…
LABRADOR RISCHIA LA VITA PER IL COMPAGNO TRAVOLTO DA PIRATA (lo "copincollo" intero, giacché è un pezzo breve...).

Accoccolata come su un tappeto, a vederla così pare quasi a suo agio. Torce il collo, lo sguardo che ciondola a destra e a sinistra, le orecchie basse e gli occhi sgranati: sottomessi al baccano della strada, o forse solo alla speranza. Intorno, un fiume di auto in corsa. È un labrador dal manto nero, pare si chiami Grace. Si trova sull'asfalto di una strada trafficata a Los Angeles: accanto a lei giace ferito un altro labrador. Una macchina lo ha investito e nessuno lo ha ancora soccorso.
È così che un passante, impressionato dall'abnegazione del cane, ha filmato la scena: in pochi minuti ha fatto il giro del mondo via web. L'altro labrador ha il pelo cortissimo nocciola chiaro; nel video pare non respirare, ma si trova adesso in una clinica veterinaria. Prima del soccorso la polizia aveva posizionato nei paraggi dei coni spartitraffico, perché le macchine non travolgessero né lui né la compagna, implacabile.
Nessun proprietario ufficiale: Grace adesso cerca famiglia. Ennesimo esempio di veglie d'amore che il mondo animale conosce per vocazione, istinto primitivo e purissimo di aspettare il miracolo; o, se non c'è altro da fare, cullare un'agonia. Ignorare la calamità che ha assalito qualcun altro impedendo, chissà, che gli si faccia altro male. Anche quando non è più possibile salvarlo. Storia recente è quella di Tessy, boxer che, in un appartamento del Trentino Alto Adige, aveva vegliato sul corpo senza vita della sua padrona per un paio di giorni. Ancora più incredibile quella di Leao, altro cane simile al labrador, in Brasile. Leao, manto lucido come caramello, non si schiodava dal sepolcro della sua padrona, scomparsa a causa di un'alluvione: immortalato con l'espressione assente, l'aria serafica e impenetrabile di chi si trova nel posto giusto. Il solo posto al mondo nel quale si sente a casa.
Anche Youtube offre filmati di cani che assistono randagi travolti da auto, appollaiati per ore sul ciglio della strada. Tutti con gli stessi occhi, consapevoli come nessun altro, fragili e fortissimi. Silenzi cristallini che paiono confessare: sono qui. Amo. Non ho più nulla da perdere.


8) Altra prima pagina. Stavolta in Economia, coi consigli per risparmiare sulle spese alimentari e sanitarie: LA SPESA ANTICRISI (12.8.2012)

9) Questa è poi la mia intervista esclusiva a Giancarlo Giannini. Una delle più ricche e importanti che io abbia realizzato, in assoluto. Per “Style” de “il Giornale”, in copertina il 26.10.2012. “SARO’ CATTIVISSIMO, ED E’ COLPA DI AL PACINO”. [leggi direttamente sul blog: http://simonettacaminiti.blogspot.it/search?updated-max=2012-10-30T02:08:00-07:00&max-results=7&start=7&by-date=false ]

10) Per questo pezzo, su Style Week, infine, sono stata a Parigi… E ho assistito al lancio europeo che Microsoft ha preparato per Windows 8: E ADESSO WINDOWS SCENDE DALLA NUVOLA E DIVENTA UNA MINACCIA. (Simonetta Caminiti, 3.11.2012).

[…] Un miliardo-duecentoquaranta ore di test, un miliardo e mezzo di dollari – così dicono – per la campagna pubblicitaria che oggi, a Parigi, trasmette in video il palco di New York. Ma qui, in una delle sei città del mondo scelte per il lancio di Windows 8, 37 artisti hanno creato la loro «grotta delle meraviglie», che sembra un’incarnazione del software. «Abbiamo posto centinaia di coriandoli dorati sul pavimento – ha raccontato Antoine Bouillot, uno tra i collaboratori più originali del progetto – per creare un effetto di gioco, quasi d’infanzia. I coriandoli si muovono e cambiano, mentre la gente cammina». Non solo. Brillano, riflettono l’immagine delle persone, seguono, centimetro per centimetro le loro orme e le illuminano. È questa la sottintesa promessa di Microsoft, dunque, a Parigi.

E buon 2012 fatto a tutti! :)

martedì 11 dicembre 2012

E nel frattempo...

Io ri-"posto" i miei video preferiti sul Festival del Cinema di Roma 2012. I miei servizi (realizzati con le riprese e il montaggio di Arianna Visani, per il sito www.mpnews.it) ogni giorno in tempo reale sulla homepage e nella videogallery de ilGiornale.it. Qui incorporate sul mio blog dal MIO canale youtube.







(Il mio preferito in assoluto)








E infine, "in omaggio", un altro servizio (realizzato però a settembre), all'Auditorium Conciliazione di Roma, in occasione del Festival Internazionale del Cortometraggio "Corti and Cigarettes". Ancora una volta, con le riprese e il montaggio di Arianna Visanni, la pubblicazione su mpnews.it e sul sito de "il Giornale". Al nostro microfono, l'ex ministro della salute Girolamo Sirchia, e l'attore Francesco Pannofino.

mercoledì 5 dicembre 2012

lunedì 3 dicembre 2012

"Una famiglia perfetta" di Paolo Genovese.

Una rilettura della "pupazzata" pirandelliana, abbastanza originale (poco all'inizio, per la verità) e più volte capace di spiazzare. Qualche singhiozzo nella sceneggiatura, qualche abuso dell'abbiccì trito e ritrito del mestiere dell'attore. Ma con un finale a sorpresa che "ribilancia" tutto: che, se ti sembrava di aver trovato delle risposte, te le spettina di nuovo e ti lascia un sorriso combattuto... (Gerini/Castellitto al bacio!).

martedì 27 novembre 2012

"Cime Tempestose" sul grande schermo: il mio saggio per "La Frusta Letteraria".

“Cime tempestose” e il cinema: così gli amanti della brughiera ci sono più vicini, e mutano dal classico vittoriano allo stadio pre-letterario (http://www.lafrusta.net/riv_bronte_cime_tempestose_cinema.html).



Catherine Earnshaw Linton fu una donna che visse in un villaggio dello Yorkshire: nacque nell’estate del 1865 e morì di parto in casa del marito, il ricco Edgar Linton, all’età di diciannove anni.
Così la si racconterebbe, in un pugno di righe, se ci toccasse identificarla con un personaggio reale, che ha davvero occupato la brughiera, le “rocce rosse” la campagna selvaggia e pietrosa che si ergeva (simile a un oceano imprevedibile, come gli umori del cielo) tra la dimora di nascita e quella della morte. Così si farebbe il “punto” dell’eroina di Emily Brontë.
È il romanzo di Emily, infatti (Cime Tempestose, 1847), ad assegnare una lunga storia ai diciannove anni di Cathy. Protagonista indimenticata da generazioni di lettori, registi teatrali, televisivi, cinematografici.
Dimenticare il romanzo. Cercare Cathy nelle immagini, nelle interpretazioni, fuori dalla gabbia d’oro di prosa in cui Brontë seppe letteralmente ghiacciare questo personaggio, e perfino il suo fantasma, errante e supplichevole nelle bufere di neve. È ciò che potremmo tentare – liberarci del grembo letterario in cui vivrà sempre Cathy Earnshaw – con gli esperimenti compiuti al cinema, tra il 1939 e il recente 2011. E lo stesso potrebbe accadere per il cinquanta percento di lei: l’altra parte di Catherine, quella (ancora) più complessa. Quell’Heathcliff che, con un nome che significa “cima della brughiera”, nessun cognome e nessun battesimo, ha una delle identità più significative della letteratura inglese.
Nei film di William Wyler (1939), Peter Kominsky (1992), e Andrea Arnold (2011), il titolo e la trama sono proprio quelli di Wuthering Heights (il romanzo del 1847). Solo nell’edizione del 1992, però, la storia svolge tutte e due le parti del libro, occupandosi sia delle vicende di Cathy e Heathcliff sia di quelle dei loro figli.
Teniamo presente, quindi, il denominatore comune al cinema, tra il 1939 e il 2011: Cathy e Heathcliff, il loro amore così illogico e inevitabile, che sembra procedere da un ordine trascendente, da un patto di sangue, e allo stesso tempo risponde a una violenza irriflessiva simile a quella di due orgogliosi animali.
In una campagna dello Yorkshire, sorge a metà del Settecento la proprietà del Signor Earnshaw, vedovo con due figli (Hindley, quattordici anni, e Catherine, sei anni): un luogo che noi chiamiamo “Cime Tempestose” (Wuthering Heights, naturalmente). Con questa famiglia vivono la giovane governante Nelly e l’anziano inserviente Joseph. Di ritorno da Liverpool, un giorno Earnshaw porta con sé un ragazzino appena più grande di Cathy. È “scuro”, di un’etnia che intuiamo essere meticcia, ma misteriosa come le sue origini e il suo destino. Finché il padrone Earnshaw sarà in vita, Heathcliff sarà trattato come uno dei suoi figli, forse il favorito; ma appena dopo la sua morte (che lascia Catherine orfana a dodici anni), la gelosia di Hindley Earnshaw, che assume il comando della casa, riduce Heathcliff al più mortificato, reietto e vessato dei servi. Non muta però il rapporto tra il trovatello e l’adolescente Cathy: una tenera simbiosi, una conoscenza reciproca che abbatte gli argini del linguaggio verbale, che si consuma, fusionale, con gli spazi, i segreti e le promesse dell’aperta brughiera. Un legame che somiglia più a quello tra due piccoli amanti selvatici che a un rapporto tra fratello e sorella. Un giorno non lontano, però, l’animo di Cathy si scopre diviso in due: da un lato sedotto dal castello dorato di Thrushcross Grange (abitato dal ricco Edgar Linton e sua sorella Isabella), e dall’altro ancora legato indissolubilmente al “fratellastro” Heathcliff. Cathy è turbata e resa aggressiva verso gli altri, dal dubbio sulla sua stessa identità e su quale uomo (Edgar, che la corteggia e le promette la vita di una principessa) o Heathcliff (in qualche modo, l’altra parte di se stessa) sia ciò che più incarna i suoi desideri e la sua autodeterminazione verso il futuro. Durante una confidenza alla governante Nelly, Cathy afferma di aver accettato la proposta di matrimonio di Edgar Linton: ma di averlo fatto solo perché, nonostante il suo amore per Haethcliff e la sua intima appartenenza a lui siano imperturbati, sposare Heathcliff, ridotto “così in basso” dal fratello Hindley, l’avrebbe “degradata”. Heathcliff, che ascolta solo una parte di questa conversazione (trascurando quale sofferenza e quale tradimento di se stessa significhino per lei rinunciare a lui per sempre) fugge ferito nella pioggia torrenziale, sparendo nel nulla. Come in una fiaba, tornerà ricco e bellissimo, rileverà Wuthering Heights dai debiti del vecchio nemico Hindley, sposerà Isabella Linton per vendicarsi dell’abbandono di Cathy, e susciterà in Cathy tali dolori da ammalarla e favorire – involontariamente – la sua morte. Wuthering Heights sarà dunque sotto l’incantesimo nero di un Heathcliff crudele, satanico, capace un tempo dell’amore e della dolcezza per la “sorellastra”, ma foriero oggi solo di distruzione, infelicità e malessere per tutti. Tanto per cominciare, per suo figlio, il figlio di Hindley, e la figlia dell’amata Cathy. Ma è col decesso di Cathy, in un letto di morte disperato, che si chiudono le sceneggiature di due dei film su tre sui quali stiamo riflettendo: Wuthering Heights 1939 e Wuthering Heights 2011. In quello del ’39 e quello del ’92 viene conservato l’elemento letterario (molto caratterizzante) di una presenza post-mortem di Cathy a Cime Tempestose: il vagare nelle notti gelide del suo fantasma, implorante di essere riammesso in casa, che risponde alla “preghiera maledetta” dell’amante Heathcliff, il quale aveva chiesto al corpo senza vita della donna di mutarsi in uno spirito errabondo e perseguitarlo per sempre. Assumendo qualunque forma, comunicando in qualunque modo: tutto, pur di non abbandonarlo definitivamente, nonostante un’esistenza di reciproche ferite e devastanti rappresaglie.


1.1. – “Cime Tempestose” secondo Andrea Arnold: qualcosa “prima” del libro e oltre il libro.
Scrisse di Heathcliff Charlotte Brontë (con lo pseudonimo di Currer Bell):

Heathcliff rivela un unico sentimento umano, e questo non è l’amore per Catherine, che è un sentimento feroce e inumano, una passione quale potrebbe ardere e ribollire nella cattiva natura di qualche genio maligno; un fuoco che potrebbe costruire il centro tormentato, l’anima eternamente sofferente di qualche principe dell’Inferno, che con la rovina ch’esso apporta, inarrestabile e incessante, dà esecuzione alla sentenza che lo condanna a portare l’inferno con sé ovunque vada errabondo. No; l’unico vincolo che lega Heathcliff all’umanità è il suo riguardo, confessato con rudezza, per Hareton Earnshaw, il giovane ch’egli ha rovinato; e poi la sua, non del tutto tacita, considerazione per Nelly Dean. Tolti questi singoli tratti, dovremmo dire ch’egli non era figlio d’un lascaro o d’uno zingaro, ma una forma d’uomo animata da energia demoniaca, una Ghoul o un Ifrit.

Ebbene, nella versione dei fatti di Andrea Arnorld (Wuthering Heights 2011) – perché come un dogma, come un fatto atavico, viene assunto in questo film lo scheletro del romanzo, ma niente di tutto il resto –, le cose non potrebbero essere più diverse. Lo sforzo di Arnold parte anzitutto dalla trasformazione – per la prima volta nella storia di Cime Tempestose – dalla favola gotico-romantica (la favola nera) al documentario: un documentario psicologico, nutrito da immagini-verità, dalla ricostruzione maniacale di un’adolescenza nel cuore del Settecento, in una campagna fangosa che si allarga sotto il cielo di piombo dello Yorkshire; un posto dove si odia e si ama con la forza delle belve e dei bambini, e con lo stesso genere d’istinto si assumono decisioni epocali. Niente fantasmi, niente vite oltre la vita, niente scrittura della storia nelle stelle, quanto, piuttosto, nel DNA dei personaggi. Perché l’amore e la follia di Heathcliff e Cathy avessero una nuova vita più simile che mai al “dogma” di Emily Brontë, il film è stato addirittura girato in una fetta di campagna dove il Settecento non è mai finito: Moor Close, né acqua corrente né elettricità.
Ma il racconto di Arnold interrompe la storia al primo volume del libro. Quel quindicesimo capitolo in cui Catherine muore e Heathcliff sfoga più assurdamente che mai il suo dolore (ciò che negli altri film e sceneggiati, ne facevano un’autentica macchietta); dunque, del suo rapporto col piccolo Hareton, non vedremo nulla. Ma soprattutto, Arnold fa di Heathcliff un uomo, e un uomo fragile: tutt’altra creatura rispetto a quella pervasa da forze maligne, sovrannaturali, recensita da Charlotte Brontë.
La campagna di Andrea Arnold tace, dunque, segreti che non sono quelli dell’aldilà (come accade nelle altre due pellicole e certamente nel romanzo), bensì quelli di una vita terrena e scabrosa, di psicologie universali e di rapporti carnali iniziati precocemente. Segreti che, forse, solo nel 2011 ci si poteva permettere il lusso di raccontare. I personaggi, adolescenti fino a buona parte del film, parlano pochissimo; e quel poco che dicono, lo dicono con un forte accento dello Yorkshire. Heathcliff adulto (interpretato da James Howson) è un giovane affascinante ma scandalosamente mulatto. La sua follia esplode sì in manifestazioni “demoniache”, ma è il demonio della mente, la ferocia del tradimento e dell’abbandono quando già troppi traumi sono stati sopportati. E la scelta di Catherine (Kaya Scodelario, nella versione adulta) di sposare Edgar è, in questo film, l’ingenuità di una bambina, confessata a un’altra bambina: Nelly, che ha pressappoco la sua età e non molti più strumenti di lei. È la tragedia, insomma, dell’inesperienza e dell’incapacità di vivere l’amore da adulti. Il tessuto fitto e fatale di sogni, sconsideratezze, passi avventati legati forse a un unico umanissimo limite: essere costretti a crescere, e il prezzo che si paga quando si cresce davvero. Per cui, un’infermità mentale nella quale il mondo intero potrebbe scivolare. Vivere male e morire di gioventù, del gravame mal gestito di un amore troppo grande.
Dopo la morte di Cathy, la disperazione di Heathcliff sfiora la necrofilia, e l’elemento sovrannaturale del romanzo si riduce a un dubbio e minuscolo dettaglio nell’ultima scena del film.

Nel più straordinario dei modi, Arnorld ottiene una sorta di effetto pre-letterario. Il suo film non è una ulteriore versione piena di fronzoli che spesso si è vista su questo grande classico, ma l’intento di ricreare qualcosa che potrebbe essere esistito prima ancora del libro, una rude, semi-articolata successione di eventi, messa poi a lucido e affinata come una gemma preziosa. Il che forse è solo una mia illusione, naturalmente, ma senz’altro convincente ed eccitante. (Peter Bradshaw, The Guardian, 10 novembre 2011).


1.2 – “Cime Tempestose” nel capolavoro di William Wyler. “La voce nella tempesta”, reperto nel reperto.


Cosa succedeva, invece, nelle “Heights” di William Wyler, quando Cathy e Heathcliff erano interpretati da una spumeggiante Merle Oberon (occhi a mandorla e capelli corvini) e un irresistibile Lawrence Olivier? Il suggerimento più opportuno per comprendere quell’adattamento è bissare l’effetto del “reperto storico” di questo film, facendo molto caso a come la sua distribuzione fu trattata in Italia. Wuthering Heights 1939, titolato in Italia “La voce nella tempesta” è, col suo primo doppiaggio, un reperto nel reperto. Un’enfasi della favola nera che, evidentemente, parve al regista ma soprattutto a chi, nel nostro Paese, decise di proporla al pubblico. La sceneggiatura di Charles MacArthur e Ben Hecht e la regia di William Wyler trovarono in Italia due edizioni diverse: la prima (non si conosce precisamente l’anno dell’uscita del film) negli anni Quaranta, e la seconda nel 1970. Non è noto chi diresse il doppiaggio del film della prima edizione, ma il cast di doppiatori vantava le voci dei maggiori professionisti dell’epoca: Lia Orlandini doppiava l’attrice Merle Oberon (nei panni di Cathy), Gualtiero De Angelis dava la voce italiana a Laurence Olivier (Heathcliff), Rosetta Calavetta (la prima attrice e caratterista più popolare degli anni Quaranta e Cinquanta) doppiava Geraldine Fitzgerald nei panni di Isabella. Gli archivi non conservano, purtroppo, il nome della doppiatrice di Nelly Dean, che in questo copione ha ampio e rilevante spazio.

“Cento anni fa, in una terra del nord, sorgeva una casa triste e desolata come la terra che la circondava. Soltanto uno straniero sperduto nella bufera poteva osare bussare alla porta di CASABRUNA…”

Così è tradotto, come il principio di una fiaba, l’originale:

“On the barren Yorkshire moors in England, a hundred years ago, stood a house, as bleak and desolate as the wastes around it. Only a stranger lost in a storm would have dare to knock at the door of WUTHERING HEIGHTS”.

Annullato, dunque, il riferimento molto preciso che la sceneggiatura originale faceva del contesto: “le brughiere dello Yorkshire, in Inghilterra”. La storia in italiano vuole svolgersi in un microcosmo indeterminato, “cento anni fa”, da copione; senza riferimenti geografici che potessero caratterizzare i personaggi, suggerire niente della loro cultura, della loro personalità e delle loro tradizioni. Il perché di questo aspetto macabro e soggiogante (quasi da castello fiabesco, appunto), non ha radicamento nella “realtà” e tantomeno nella Storia. Ma soprattutto, è ribattezzato in italiano ciò che sarebbe stato, per quasi un secolo, il titolo del romanzo e del film nella nostra lingua (cioè “Cime Tempestose”), perché la proprietà degli Earnshaw, Wuthering Heights, si chiama qui “Casabruna”. “Penistone Crags” – uno dei tre luoghi dotati di nome proprio in Cime Tempestose (assieme a “Wuthering Heights”, degli Earnshaw, e il “Grange”, dei Linton) è qui un ambiente all’aria aperta chiamato “Le rocce rosse”.
La vezzosa Cathy e l’innamorato (ma feroce e mutevole) Heathcliff sono personaggi caldi, teneri anche quando esprimono il peggio di se stessi: ai limiti della caricatura e perciò figli del loro contesto cinematografico, fedeli al testo di Brontë e che al testo si ribellano con licenze lievi, ma sempre funzionali. Nel loro bianco e nero sfumato, scintillano tutte le loro sfumature, come in nessun’altra interpretazione del libro: l’atmosfera è quella di un classico che vive di vita propria, le battute hanno la profondità e l’eleganza di un testo letterario anche quando non muovono dal romanzo. È l’unica, di queste tre sceneggiature, a far venir voglia di prendere appunti e far propri i dialoghi, come accade nel miglior teatro e (ovviamente) nella narrativa più riuscita, che a questo film ha dato i natali. La ridondanza della traduzione italiana è un alone d’antichità magnifico, struggente, che aggiunge carattere al carattere del film: forzandolo e tradendolo, ce lo rende più vicino come solo settant’anni fa poteva accadere.


1.3 – “Cime Tempestose” secondo Kominsky: i luoghi dell’amore, della vita e della “miseria”.

Quanta importanza hanno invece i luoghi, in Cime Tempestose? Quanta importanza ha la specificità del luogo, del posto, con la sua precisa nomenclatura? È questo aspetto uno dei pochi pregi di Wuthering Heights 1992, di Peter Kominsky: una produzione inglese, diretta dal regista che sarà quello di White Oleander (2002) e musicata dal popolare compositore giapponese Ryuichi Sakamoto.
Gli interpreti sono oggi considerati in tutto il mondo due fuoriclasse europei: Juliette Binoche, nei panni di Cathy, e Ralph Fiennes, in quelli di Heathcliff. Nondimeno, il lungometraggio non è mai stato editato per le sale italiane. Le linee programmatiche saltano subito all’occhio: con lo spettro di Catherine, che parla poco e spaventa molto, prendendo vita dai rami di un albero e irrompendo, glaciale, nella stanza dell’affittuario Lockwood. Una traccia intermedia tra l’horror e la comicità è il risultato di questo inizio-pellicola che molto vuole ricalcare il romanzo. Come del resto, tutta la sua sceneggiatura. Un’edizione – quella del 1992 – che fa dimenticare però il punto di forza di Andrea Arnold, la cronologia del libro stesso, e la credibilità de “La voce nella tempesta”: la fanciullezza dei protagonisti. Perché Binoche e Fiennes che corrono a galoppo nella brughiera, si amano e si odiano (com’è ovvio) sono due adulti, due giganti. Sono un uomo e una donna finiti, attraenti, in funzione della storia, in nulla che non sia la bellezza oggettiva dei loro baci, dei loro sguardi, delle loro lacrime. Poveri, nei panni di Heathcliff e Cathy, in tutto ciò che non sia appunto “bellezza fotografica”. Poveri nella ragion d’essere di tanto conflitto e tanta follia, se non nell’intento di renderla “antipatica”: incomprensibile. Ma chissà, la stessa Brontë aveva pensato al suo testo come a una reliquia tutta personale, la cui inaccessibilità alla ragione fosse un probabile fiore all’occhiello. Peccato, però, che il suo libro susciti una naturale empatia che il film di Kominsky non raggiunge se non in pochissimi frammenti.
I luoghi del film, dicevamo. Wuthering Heights (dove Cathy è nata e cresciuta), Thrushcross Grange (dove ha incontrato Edgar e ha vissuto da sposata), Penistone Crags (dove ha amato Heathcliff). E infine, nei ricordi di moribonda, perfino un certo cimitero. Cathy aveva parlato proprio della Chiesa di Gimmerston, tra i cui sepolcri, molte volte con Heathcliff si era divertita a invocare fantasmi; si trattava di un luogo interposto tra la tenuta dei Linton (il Grange) e Wuthering Heights. La morte, o meglio “la morte in vita”, è in qualche modo sempre stata la dimensione nella quale Heathcliff e Cathy si sono intesi, hanno giocato senza paura: il luogo tra il “prima” e il “dopo” la loro separazione (un cimitero interposto tra le case in cui Cathy ha vissuto). Dice Cathy, delirante alla finestra tra le braccia di Nelly:

“È un viaggio durissimo, e a farlo sarà un cuore troppo triste. E dobbiamo attraversare la Chiesa di Gimmerton, per arrivare. Insieme, abbiamo affrontato i suoi fantasmi così spesso… Ci siamo sfidati, davanti alle tombe: a chi avesse più coraggio coi morti. Heathcliff, se ti sfido adesso, ce la farai?”

In questo film, grazie alla costruzione dei dialoghi oltre che alla potenza della fotografia, la terra di Cathy e Heathcliff non appartiene che a loro. E in qualche modo, allo stesso modo, la Terra intera. La sintesi di questa concezione è proprio nelle parole – qui meglio trasposte che negli altri due film – che Cathy aveva confessato a Nelly, nella notte in cui, accanto al focolare, piangendo, le aveva raccontato il suo amore frustrante per Heathcliff e la decisione di sposare Edgar. Parole che così, dalla sceneggiatura inglese di Anne Devlin, potremmo tradurre in italiano:

“Nella mia anima e nel mio cuore, sono convinta di sbagliare. E se mio fratello non avesse spinto Heathcliff così in basso, non ci avrei pensato. Mi declasserebbe sposare Heathcliff oggi. Perciò lui… Lui non saprà mai quanto lo amo. - - Le mie grandi miserie a questo mondo sono state le miserie di Heathcliff. E le ho osservate… e sentite una ad una, dal principio. Il mio amore per Linton è… fogliame tra i rami. Il tempo lo muterà. Come l’inverno muta gli alberi. Io amo Heathcliff. Lui è… Lui è come… le rocce eterne sotto i miei piedi. Una fonte di piacere semplice e visibile, ma necessario. Nelly… Io sono Heathcliff.”

Il termine inglese “miseries” (riferito a Heathcliff) è identico anche nell’originale di Brontë. Ma, laddove varie traduzioni italiane del libro scelgono la parola “dolori”, niente sarebbe più adatto, in italiano, di un semplice “miserie”. Perché niente somiglia più al personaggio di Heathcliff, in inglese e in italiano, che il concetto di “misery”/ “miseria”, polivalente in entrambe le lingue quanto lo è “sciagura”. Lo “sciagurato” è un “colpevole”, o al contrario, semplicemente, una persona colpita da sciagure suo malgrado, “sventure”: “miserie”, appunto. E Cathy ama il suo “gitano” di un amore miseri-cordioso perché, come lui, si sente una persona che commette imperdonabili errori; ma, allo stesso tempo, la vittima di sofferenze che il destino e la famiglia le hanno inflitto. Sono “miserie”, i suoi “dolori”, come quelli del suo Heathcliff. Il testo inglese presenta un altro punto-chiave. La parola “beneath”, che vale “sotto, al di sotto”, tradotto qui liberamente “[le rocce eterne] sotto i miei piedi”. Sono le “rocce senza tempo” che Heathcliff rappresenta, e, allo stesso modo, colei che è abituata a camminarvi sopra, che su quelle rocce è cresciuta, è diventata una donna, col sostegno del terreno più selvaggio e più amato di sempre: Heatcliff, le rocce di Wuthering Heights fatte materia vivente. “Beneath”: cioè “sotto i passi di Catherine”, che sappiamo non cesseranno, nella brughiera, neppure dopo la sua morte. Il solo luogo al mondo, a rappresentare tutti i luoghi del mondo, dove si muore d’amore e grazie all’amore non si morirà mai.

domenica 18 novembre 2012

(ilGiornale.it) Speciale chiusura Festival del Cinema di Roma 2012.

Si chiude il Festival del Film di Roma 2012. Curiosità e approfondimenti sull'ansa del tappeto rosso, che scorre come un fiume sotto la pioggia di novembre.
E' calato il sipario sul settimo anno di concorsi e passerelle. Premiazioni a sorpresa e, soprattutto, un racconto di cosa succede nell'ultima giornata un po' più lontani dai red carpet. Intervista esclusiva a Massimo Rossi, la voce italiana dell'ospite a Cinecittà Sean Penn. Commenti a caldo e immagini dell'ultima sfilata all'Auditorium Parco della Musica. Speciale a cura di Simonetta Caminiti e Arianna Visani.

venerdì 9 novembre 2012

Anteprima Video Festival del Film di Roma: ilGiornale.it, il mio servizio

Ecco la mia presentazione della SETTIMA EDIZIONE DEL FESTIVAL DEL FILM DI ROMA, che comincia oggi all'Auditorium Parco della Musica (9-17 novembre). Il servizio è pubblicato in homepage da ilGiornale.it. Le riprese e il montaggio sono di Arianna Visani.

venerdì 2 novembre 2012

Da "il Giornale" di oggi: Svelato il segreto della «depressione che uccide»


La diagnosi corretta del disturbo bipolare potrà evitare molti suicidi.

È un ateneo giovane, quello di Lugano. Fondato nel 1999 dal prof. Paolo Sotgiu, qualificato come «Libera Università degli Studi umani e Tecnologici», inaugurerà il prossimo anno accademico lunedì 5 novembre. Con le lectiones magistrales di due scienziati (il prof. Umberto Veronesi e il prof. Massimo Cocchi) e del filosofo Fabio Gabrielli.
Massimo Cocchi, medico, docente di biochimica e direttore dell’Istituto Paolo Sotgiu (per la ricerca in psichiatria e cardiologia) ci spiega a quale scoperta scientifica sarà legato il suo intervento. Una scoperta che affonda nei processi biologici del cervello (partendo da un lungo studio sugli animali) la fondamentale differenza tra il disturbo bipolare e la depressione maggiore. Disordini dell’umore che troppo spesso ricadono nel calderone di una diagnosi errata, mentre il 90% delle morti, nei pazienti bipolari, è causata da suicidi. E soprattutto – lo ha reso noto il Ministero della Salute – il 70% dei suicidi è legato a un errore terapeutico. Troppo spesso l’errore è, probabilmente, accomunare i sintomi del disturbo bipolare a quelli della depressione. «Ma – ci spiega il prof. Cocchi – se allo psichiatra serve il cosiddetto “sintomo psicotico”, per attestare una diagnosi di bipolarismo, oggi abbiamo in mano qualcosa che lo distingue precisamente dalla depressione. Nell’Uomo e nell’Animale. Qualcosa di ordine genetico».
Insomma, si tratta di uno studio grazie al quale, secondo il Premio Nobel Kary Mullis, «sarà possibile capire se un paziente ha intenzione di suicidarsi». «Tra il 2005 e il 2006 – racconta Cocchi – abbiamo avviato uno studio su 84 maiali, suddivisi in un gruppo di soggetti cosiddetti “normali”, e un gruppo con diagnosi certa di disturbi dell’umore. Gli acidi grassi nei soggetti patologici si presentavano in significativa quantità rispetto a quelli dell’altro gruppo». Via di questo passo, prima con il supporto del matematico Luca Tonelli (che inquadrò i risultati dello studio in una funzione «non manipolabile»); poi con una ricerca finanziata dalla Regione Marche su un campione di più di cento soggetti umani, e con l’appoggio di un gruppo di psichiatri, si è giunti al probabile segreto che separa il bipolarismo dalla depressione maggiore: «un mancato passaggio dalla piastrina al neurone. Una membrana capace di trattenere più o meno serotonina». La serotonina, l’ormone che definiamo, comunemente, come la traccia organica del «buonumore». Ebbene, l’errore terapeutico, quando non si diagnostica correttamente il disturbo bipolare, è proprio quello di trattare questo ormone allo stesso modo in due casi che, nella biochimica dei pazienti, sono ben differenti. Il rischio? Non curare il soggetto bipolare. Affetto da un disturbo delicato e ancora, evidentemente, poco conosciuto, che troppo spesso porta a soluzioni disperate «legate – prosegue Cocchi – a un evento esterno, che però il soggetto non percepisce a livello cosciente».
Studi che vanno avanti, quelli di Cocchi, adesso specializzandosi proprio sulle cause patologiche del suicidio. A Lugano, dove lavora come docente esterno da dieci anni, Massimo Cocchi ha dedicato al fondatore Paolo Sotgiu l’Istituto «per la ricerca in psichiatria e cardiologia quantitativa e quantistica». Una promessa, con attestati internazionali, e ancora un lungo cammino.

martedì 30 ottobre 2012

Da "Il Giornale" di oggi: Da Spiderman ai pub, la crisi abbatte anche i nostri simboli


Se levano le tende anche loro, dev’essere tutto vero. Quei marchi intrisi di familiarità, memoria, «enormità», un traffico di clienti che paralizzava le strade, e ora, al massimo, imbottiglia le fanpage sui social network, incredule e nostalgiche anzitempo. Negozi, testate giornalistiche, perfino personaggi di celluloide. Persino il sacro sorso di birra bevuto al sacro, insostituibile pub. Una delle linfe più vitali nel mercato britannico, cioè l’industria delle bevande alcoliche: in meno di 4 anni, in Inghilterra, ha fatto chiudere 6.000 pub, con un crollo del 15% delle vendite di birra. Il regime fiscale (introdotto nel 2008) prevede infatti un aumento annuale sulla singola pinta del 2%; in quattro anni le tasse sulla birra sono arrivate al 40%. Troppo, per non mobilitare una petizione intitolata «Save your pint» (Salva la tua pinta). L’obiettivo? Bloccare gli aumenti delle tasse sulla birra. Un documento che sarà discusso in Parlamento il prossimo giovedì.
Ne sa qualcosa lo «storico» McDonald di Milano che, dalla Galleria Vittorio Emanuele, si è appena congedato per sempre. Col saluto amaro di 40 milioni di clienti nei suoi anni di attività. Tra i locali storici a chiudere la saracinesca, assaporati presto o tardi da tutto il mondo, è stato anche il «Fish&Chips». La catena di «pesce e patatine» del Regno Unito, è uscita dal mercato lo scorso novembre dopo ottantatre anni di produzione e popolarità. Un marchio che, solo a pronunciarlo, dava già l’impressione di masticare il suo semplice e rinomato piatto forte. Un passo triste e difficile che il «Cabaret Village», proverbiale locale di New York dove aveva esordito Bruce Springsteen, aveva fatto addirittura nel 2003. Ma i nostri sono tempi peggiori. Tempi in cui ci lascia il «Tre Corone», a Verona. Uno sfondo secolare, ai cui tavoli avevano brindato Maria Callas, Luciano Pavarotti, Carla Fracci. Soavi ed eterni, i suoi ospiti, ma schiacciate dal gravame della crisi, le sue finanze, che erano state rilevate dieci anni prima da Giovanni Rana (il re dei tortellini).
E c’è chi ha ipotecato un grattacielo, progettato e firmato a New York da Renzo Piano. Era la sede del New York Times, e la crisi, già quattro anni fa, prometteva di farsi soffocante. Una manovra, quella del New York Times, volta a raccogliere 225 milioni di dollari di liquidità. In profonda crisi addirittura il progetto Erasmus. L’iniziativa che per venticinque anni ha consentito scambi culturali e viaggi indimenticabili agli universitari d’Europa. Il piano di risanamento passerà per le mani di Janusz Lewandowski, Commissario al Bilancio, e se Consiglio e Parlamento approveranno, gli Stati europei verseranno quel manca. Il buco – precisa il Commissario Lewandowski – è di 10 miliardi di euro: una voragine di panico per milioni di studenti.
Blockbuster, simbolo internazionale di un’era in vhs, ha chiuso (proprio tutti) i battenti in Italia dopo diciotto anni. Il «cinema a casa tua», affondato da Netflix (noleggio di dvd e videogiochi online) prima in America e poi nel nostro Paese. Ma se diciotto anni già segnano un’epoca, che dire di un marchio che ha servito il mondo per 277 anni? Richard Ginori, la fabbrica di porcellane di Sesto Fiorentino (Fi), che ha sfornato articoli di pregiatissima porcellaneria, calcando e incrociando due secoli e mezzo di storia, crolla sotto il peso di 70 milioni di debiti. Nessun fallimento dichiarato, ma i 337 dipendenti sono in cassa integrazione.
Neanche L’Uomoragno ha trovato scampo nella crisi. Un mercato complicato anche il suo. Il personaggio di Spiderman (che, per metà, nella vita, è sempre stato il fotografo Peter Parker) si dà alla ricerca scientifica nei nuovi volumi di Marvel. Il motivo? Adeguare la sua sceneggiatura alla vita reale, dove un freelance ha un raggio d’azione molto più limitato di uno scienziato coi contatti giusti. (Questo, almeno, secondo i suoi autori). E anche in casa nostra, i vip in carne ed ossa lamentano la crisi. La Gialappa’s giura che «non ci resta che fare i cuochi in qualche talent show», perché i loro progetti non vanno in porto finché le attuali condizioni dell’economia impediscono la copertura dei costi.
Avvolte nel mantello della crisi economica, le nostre piccole-grandi icone: tramortite dallo spettro della recessione, quasi minacciano una ad una di dare forfait al mercato. Ci abbracciano in un saluto grato, speranzoso di tornare, che tanto somiglia alla nostra lotta quotidiana per convivere con la strettoia, in attesa di attraversarla una volta per sempre.

venerdì 26 ottobre 2012

A Parigi con... Style!

Parigi. 25 ottobre 2012. La tecnologia e l'arte, patrocinate da Microsoft, invitano "Style" alla presentazione di Windows 8 (la "nuova era"), e l'iniziativa è incorniciata da opere d'arte contemporanea presso il Palais de Tokyo. E io sono lì... distesa in una conca colorata e misteriosa, tra gli schizzi di pittura e i meandri di un "multitasking" oggi a prova di tablet e pieno di novità...

Il resto? Parigi...

Da "Style" del Giornale di oggi: "Sarò cattivissimo - ed è colpa di Al Pacino". La mia intervista esclusiva a GIANCARLO GIANNINI



«Abbiamo costruito computer, robot, armate automatizzate. Ma cosa succede, quando il nemico ruba le chiavi? Quando gli aggeggi che abbiamo costruito per difenderci sono rivolti contro di noi? È allora che si sono resi conto… che avranno sempre bisogno di uomini come noi».
Uomini – non c’è partita per nessuno – come Giancarlo Giannini. Tale e quale a questo copione, recitato dalla sua voce, è la sua partecipazione al doppiaggio di Call of Duty – Black Ops II, la saga di videogame giunta all’ottavo capitolo. Altissima tecnologia, di quella che ti risucchia nel cuore della realtà virtuale, vellutata e cristallina come la terza dimensione, eppure coi suoni tutti umani dell’attore italiano più famoso al mondo. La voce del perfido Raul Menéndez. Il videogioco bellico che fa combattere (sullo schermo) 40 milioni di utenti online ogni mese, e due milioni in Italia. Battaglie efferate durante la Seconda Guerra Mondiale, il periodo della Guerra Fredda, e adesso, finalmente, la «Guerra Futura»: un capitolo di fantapolitica in cui il personaggio di Raul Menéndez detiene (materialmente) le chiavi della buona e della cattiva sorte dell’umanità. Le ha rubate all’infrastruttura militare americana, ed è deciso a distruggere il mondo intero. È anziano, emaciato e ha occhi di ghiaccio: ma quando Giancarlo Giannini lo «riempiva» con la sua voce, non poteva guardarlo. Si limitava a seguire grafici che, con la sua vocalità, ondeggiavano colorati. Un risultato che dà i brividi.
Assomiglia a qualcuno incontrato nel suo passato di centosettanta film, questo «ectoplasma da guerra» di Call of Duty? «Ho doppiato su un diagramma: un asse di volume e tempo. No, non assomiglia a nulla di quello che ho fatto prima. Ma io non sono abituato a guardarmi indietro. E quando arriva un lavoro nuovo, che divertimento c’è se dai per scontato di saperlo fare?»

Call of Duty è un videogame fatto con la stoffa del cinema. E Giancarlo Giannini, l’attore passato per le mani di Visconti, Monicelli, Ridley Scott e Francis Ford Coppola (con una nomination all’Oscar nel 1977, nel pieno della collaborazione con Lina Wertmüller), è anche un esperto doppiatore. Uno che il cinema lo vive in lungo e in largo, appare e scompare, ma lascia sempre il segno. Guai a dire, però, che i videogiochi e i film sono cose «reali», deputate a raccontare la verità. «La differenza tra un videogioco e un film – secondo Giannini – è che col primo puoi interagire direttamente. Ma in realtà, anche con un film qualsiasi puoi interagire. Con la fantasia, guardandolo più volte, immaginando finali diversi. A proposito dell’interazione – spiega – quarant’anni fa in America conobbi un italiano che si occupava di gravità e magnetismo. Mi portò in un salone immenso e mi disse: “Tu che sei un elettronico (Giancarlo Giannini ha un diploma di perito elettronico, ndr) e anche un attore, potresti partecipare al nostro progetto. Vogliamo creare la battaglia navale sul grande schermo, conciliare scienza e arte.” Qualche anno più tardi, naturalmente, lo hanno fatto davvero».
Il momento più felice della sua carriera è stato negli anni Settanta. Com’era il cinema internazionale allora? E cos’è invece il cinema di oggi? «Era diverso il modo in cui producevamo. Eravamo più curiosi. Più consapevoli di raccontare “la grande favola”. E non c’era la frenesia, venuta fuori dalla televisione, di fare tutto rapidamente con la preoccupazione dei costi. Difatti i film erano più belli, ma appartenevano alla loro epoca. È cambiato il mondo». Naturalmente. Ma in che senso? «C’è paura. E la televisione ha contribuito molto a dare un senso troppo immediato e tragico delle cose. Accendi il televisore e c’è dentro tutto. Ho girato un film d’azione (che deve ancora uscire), una storia complessa, il calvario di un uomo in cui parlo, tra l’altro, di questo. Della paura dei rapporti umani».
Provi a dirgli che l’arte (e il cinema in particolare) hanno tanto più valore quanto più rassomigliano a quello che ci circonda. Lui interrompe bruscamente: «Diciamo la verità. Attentati, vicende politiche, fatti storici: il cinema degli ultimi anni è tutto ciò. Benissimo. Ma il cinema è molto più potente di così: il cinema può tutto! La storia di Pasqualino Settebellezze (il film per cui Giancarlo Giannini fu candidato all’Oscar) era la storia vera di un napoletano in un campo di concentramento. Nessuno voleva farla. Io volevo fare “Pulcinella” in un campo di concentramento, derogando dal neorealismo, facendo una cosa completamente diversa. Prendere gli attori dalla strada? Rossellini detestava queste abitudini del neorealismo: era fiero di scritturare gli attori più bravi e più pagati dell’epoca. La verità è là fuori. Il cinema deve fare di più».
Il che conferma, però, che non tutti i voli di fantasia siano bei sogni... «Guarda questo videogame. C’è combattimento, sangue. Ma va benissimo. È finto! È solo… verosimile. Con questo principio, la storia in un italiano qualsiasi può svolgersi dall’altra parte del mondo, in Canada, o chissà dove, anche sottoterra, perché resta comunque solo la storia di un uomo. È questo che cerchiamo». A proposito di italiani che potrebbero trovarsi – e vivere – ovunque: è vero che, dopo la nomination all’Oscar, Giancarlo Giannini avrebbe potuto fare i bagagli e sbarcare definitivamente a Hollywood? Perché ha finito col vivere in Italia? «Il mio primo successo americano fu Film d’amore e d’anarchia, sempre di Lina Wertmüller. Ma in America, “fammi un italiano”, significa vestire un po’ i panni di “Arlecchino”, non stabilire le giuste differenze e sfumature. Ho rifiutato le proposte di registi americani molto importanti anche per questa ragione. In America, è tutto molto più superficiale. Ma fanno un cinema migliore del nostro». Perché? Semplice: «Perché hanno capito a cosa può arrivare un film. Lessi un copione. Una lettura incuriosita, non finalizzata a interpretarlo. Dissi ad Al Pacino, che per me era una stronzata. “Ma come una stronzata?” replicò lui. “Questo è un film che incasserà moltissimo”. Ma noi italiani ci trasciniamo un bagaglio di tradizione e cultura che penalizza il gioco. Loro ci sono più avvezzi».
Al Pacino, appunto. A un certo punto, facendo zapping col telecomando, puoi imbatterti nella sua voce. La sua voce italiana. Ma poi non trovi Al Pacino. Trovi la faccia di Giannini (del resto è sua, quella voce) accanto a James Bond, che sta recitando a tuttotondo. Con gli stessi occhi azzurri, con tenui striature sottobosco, che si dilatano e parlano qui, adesso. Ha stretto tra le braccia le attrici più belle e talentuose del Paese. E sa ancora come far sparire tutto questo e diventare «una voce». La voce di un altro. Cos’è il doppiaggio, secondo Giancarlo Giannini? «Una mostruosità. Una trasformazione. Ma anche un gioco fantasioso: che ti obbliga a mimetizzarti per aiutare quel “poveraccio” che parla inglese, e lo rendi credibile in un altro Paese. Credibile. Non vero. Mi raccomando».

domenica 7 ottobre 2012

Da "Il Giornale" di oggi: Vatti a fidare di tua sorella, appena può ti fa le scarpe



Quella che… sfogli una rivista, la guardi, la scambi per l’attrice spagnola più famosa del mondo (ma poi scopri che ha solo il suo stesso cognome). Quella che… guarda, è bellissima, ed è proprio la sorella di una super top model: ma devono averla scambiata in culla appena nata, perché proprio non le somiglia. Le sorelle vip? Non sono tutte come quelle di Cenerentola. Né perdono tempo a tramare alle spalle di quella più affermata, più ricca, quella che è venuta fuori prima; come faceva la sorella (che poi è rimasta sconosciuta anche nella vita) di Whitney Houston in Guardia del corpo: «La odio. Vorrei che morisse. Lei ha tutto».
Ai fratelli-coltelli, rispondono le sorelle-modelle. O quelle delle grandi attrici, che, con un serafico sodalizio, spianano la strada del successo alle consanguinee, spesso più giovani. Spesso più attraenti, ma certo non pericolose per il loro successo. L’exploit delle «parenti strette» l’ha inaugurato senz’altro il lato B di Pippa Middleton: la vera protagonista delle nozze reali d’Inghilterra lo scorso anno, la cognata con le natiche più sferiche della corona, e sicuramente più fotografate. Ma anche Mónica Cruz – sorella goccia d’acqua di Penélope – non è tra quelle che si tirano indietro. Gli occhi neri e magnetici come tizzoni, il broncio sensuale di famiglia, trentacinquenne con un passato di ballerina e un presente di attrice. Mónica, già controfigura di Penélope al cinema, si lascia confondere con la sorella più famosa, accanto a lei in uno spot televisivo tormentone. Chi delle due è quella che indossa i baffi?

E, se a guardare Laeitia Casta si sarebbe detto che madre natura non avrebbe mai bissato il capolavoro, eccoci smentiti: e proprio in casa sua. La sorella Marie Ange, 22 anni, da aspirante insegnante si è convertita allo spettacolo: «mia sorella Laetitia mi ha presentato alla sua agente. Poi la griffe Mango mi ha scelta come modella e la mia carriera è decollata».
Non tutti sanno che anche la Pfeiffer ha una sorella prestata al cinema. Eterea e raffinata come lei: un nome (Dedee) che sembra uscito da una nenia. Oggi però è una psicologa forense.
La sorella di Alena Seredova, la giovane Eliska, esce da una campagna pubblicitaria a tutto bikini. I suoi progetti? Come da tradizione di casa, per adesso, le passerelle. E sul curriculum c’è già un immancabile calendario. Lolite si nasce. Poi si cresce. E quando l’apice del successo e la maternità sono arrivate, si sguinzagliano le sorelle minori. Così la ex lolita del pop più famosa del mondo, Britney Spears, cede il passo alla piccola Jamie Lee. Le sue specialità? Per adesso, i ruoli di protagoniste in alcune serie tv.
Ma che fine hanno fatto le sorelle che, bambine, si contendevano le braccia di papà, si scaricavano a vicenda le patate bollenti e non si rivolgevano la parola per settimane? «Lei è sempre la tua preferita»? Sono davvero così in pace con se stesse da farlo decidere al mondo intero, chi sia la preferita?
A far parlare di sé c’è perfino la sorella di Elle Macpherson, alias «The Body». Mimi Macpherson fa l’attrice, ma ha trovato riflettori e tabloid per un sexy-tape fatto in casa. Oggi è un’impegnata ambientalista. Ornella Muti, una volta, aveva un altro cognome. Lo stesso della figlia Naike. Lo stesso della sorella, Claudia Rivelli. Bellissima, secondo alcuni più bella di lei: simili occhi color fiordaliso, le linee delicatamente perfette di un viso che declinava tutte le storie d’amore possibili, formato fotoromanzo, negli anni Settanta.
E le Kessler non sono le uniche gemelle dello spettacolo. Gisele Bunchen, stella della moda, ha una gemella monozigote che, addirittura, ha avuto una gravidanza in perfetta contemporanea con lei. Quando si dice simbiosi.
La sorellina. Quella che era sempre lì, un bocciolo che calcava le tue orme e sognava di riempire col suo petto i tuoi vestiti eleganti. Non te l’ha mai detto, che il suo termine di confronto irraggiungibile eri solo tu, anche quando per il mondo eri un anatroccolo amorfo e un nome che non dice nulla. E oggi, dal primo piano in copertina, la tiri fuori dal cilindro. Sì, non è più un segreto: in famiglia siamo tutti stupendi e ci piace così. E se proprio qualcuno deve farmi le scarpe, tanto vale che sia quella con cui ho condiviso l’armadio.

lunedì 17 settembre 2012

Su ilGiornale.it, il mio servizio su "Corti and Cigarettes".

Il mio servizio video su "Corti and Cigarettes" 2012, il festival del cortometraggio a Roma che ha premiato il bellissimo Matar a un niño, dello spagnolo César Esteban Alenda e ospitato la proiezione di E la vita continua (Festival Venezia 2012): nel servizio, le mie interviste all'ex ministro della salute Girolamo Sirchia (produttore del corto) e Francesco Pannofino (nel cast).
Lo speciale è stato pubblicato in homepage da ilGiornale.it e realizzato con Mp News. Le riprese e il montaggio sono di Arianna Visani.

sabato 8 settembre 2012

DA "IL GIORNALE DI OGGI"("Style Week"): Ecco il calcio-cult con l'asta nostalgia per l'1-x-2



Per chi, ai giri rincuoranti e sempre uguali di un disco in vinile, preferisce il cardiopalma di un match sportivo. A pensarci, entrambe sono tradizioni. Rituali, appuntamenti importanti. La saga dei Forrester o quella della serie A? Ai non avvezzi non sembra, ma è una storia anche quella: con le sue effigi che paiono giovani statue greche (a un solo sesso), coi suoi controversi retroscena, coi suoi «attori» che valgono milioni e colorano un tappeto verde di sogni, angosce, lacrime a profusione. Ah, se è contagiosa, la saga del campionato. A dispetto di tutto e tutti.
Ma come minimo, per rilassarsi meglio o non rischiare infarti, tocca mettersi comodi su un bel divano. L’idea (non certo quella di metterci a sedere, ma quella di accomodarci su un sofà ad hoc) è venuta a Moretti. Proprio così: mamma birra distribuisce sul mercato un divano a tre piazze per godersi i capolavori dei nostri fantasisti preferiti, e le papere degli avversari. O viceversa, per menare i pugni sul morbido quando le variabili si invertono. Un divano bianco come la luna e come il pallone da calcio, che in realtà, si aggiunge a una tradizione già collaudata di merchandising dedicato al calcio a firma della sua migliore amica: la birra. Già in occasione del recente campionato europeo, Moretti aveva proposto un pallone di latta con dentro ben 4 litri di birra buoni per trenta giorni. Un pallone da far rimbalzare nei nostri frigoriferi ora che il campionato italiano è ripartito.
Le idee per creare un culto di oggetti (perfino feticci) attorno al calcio non sono mai mancate. Basta fare un giro su eBay – il mercato online dei reperti e delle novità – per trovare materiale che ecciterà i collezionisti come un goal. Ma soprattutto per capire quanto si può spendere per un simile grande amore. Il pezzo più costoso? È una macchina totomeka del 1948 per sfornare schedine: «1, 2, X»: il ticchettio di questi tondi tasti di ferro oggi costa 5.000 euro. E c’è una Coppa delle Coppe d’argento, vinta dal Parma nel 1993. Tifosi o cultori che volessero acquistarla, partirebbero da un prezzo di 3.490 euro. Quanto può costare un album di figurine Panini sui Mondiali Messico 1970? Quasi completo, un tocco «vissuto» sui margini appena consunti della copertina (da bravo pezzo da museo), vale 1.995 euro. Un’opera celebrativa (una serigrafia limitata di tre quadretti con Lupa in vista) ricorda lo scudetto vinto dalla Roma nel 1983; e oggi, per averla a casa, il tifoso è disposto a spendere 1.800 euro. Ma il mercato online offre un vero pezzo d’epoca. È un cappellino del Galles (1910): a guardarlo, più che l’odore della naftalina, lascia immaginare le ultime note fragranti della Belle Époque e, di velluto verde, evoca il manto erboso di un secolo fa là dove oggi scalpitano i polpacci di Beckham. 1.580 euro.
Poi, naturalmente, i capi indossati. Quelli che, intrisi ancora di sudore stagnato, per gli appassionati varrebbero ancora di più. La maglia di Diego Armando Maradona, indossata nella stagione del Napoli 1987-88. Ispira un sorriso la (come sempre, rigorosa) descrizione dell’oggetto in vendita: «Usato». Azzurra come il mare e pregna di memoria, costa 1.300 euro. E, a proposito di roba azzurra, quanto costa oggi un portachiavi a forma di puffo (che poi azzurro non è: scrostato dal tempo o nato pallido, è candido come la neve)? Se tifa Cesena ed è un pezzo d’epoca, quasi 1.000 euro...
Un altro tipo di calciomercato, insomma. Quello in cui l’epica secolare, con le sue ire funeste e le sue impagabili gioie, rotola a perdifiato dalle curve dello stadio alle mensole di casa nostra. Meglio di una religione laica, ma piena così di santini.

mercoledì 5 settembre 2012

DA "IL GIORNALE DI OGGI": Al cane non manca più la parola



Il compagno della nostra vita è un eterno mistero. Tocca farci il callo, convivere con la certezza che quelle piccole zone d’ombra, possano spaventarci o sedurci, sono il suo marchio di fabbrica. Ma se questo vale nelle relazioni tra esseri umani, le cose si complicano quando il rapporto, il dialogo che cerchiamo di stabilire, è col nostro inseparabile «quattro zampe».
Parola dell’esperto: il cane capisce tutto. Coglie i nostri messaggi corporei cento volte meglio di quanto non facciamo noi. Legge in filigrana sensazioni, intenzioni, paure che noi stessi non abbiamo il tempo di denunciare. Greame Sims, dopo due best-seller dedicati a Fido, raccoglie le esperienze di una vita nel libro Il linguaggio segreto dei cani (Sperling&Kupfer 2012), dove i messaggi dell’animale, anche quelli più criptici, sembreranno illuminati dal sole. E così i nostri per lui.
Un manuale per addestratori? No di certo. Con un manuale vero e proprio pareggia in utilità, consapevolezza delle tattiche e praticità all’uso. Ma Il linguaggio segreto dei cani ha la spassionatezza di un diario, lo stile ricco e avvolgente di un romanzo, e crea sempre un contesto ovattato e magnetico per le istruzioni tecniche. Quelle grazie alle quali interpreteremo tutto ciò che è sepolto sotto il vaporoso e ondulato mantello del nostro cane, che spesso ci dà la convinzione di proteggerci.
Attenzione, però: «ci sarà sempre gente incapace di addestrare il proprio cane, perché del tutto incapace di addestrare se stessa». Se c’è qualcosa che non fa difetto a Sims è la capacità di smascherare anche la società dei bipedi. Perché il cane, tra le sue pagine, pare quasi un riepilogo inconsapevole di amore, vita e morte che in tutto somiglia al nostro destino e alle nostre vocazioni di esseri umani. La differenza è che nel mondo di Fido c’è più verità. E centinaia di domande che gli nuotano negli occhi senza centro e senza fondo, sotto un’ombra di peli arcuati. Ma mai un cenno d’inquisizione.
Quattro sezioni strategiche: «la Comprensione», «il Metodo», «l’Applicazione», «il Commiato». Come capirti, caro amico; come quando iniziare a educarti; come passare dalla teoria alla pratica. Infine, amico caro, come salutarti, come accettare l’unico dolore che ci hai dato tuo malgrado. Che tipo di intelligenza ha il nostro cane? Imparate a capire quanto sia unico, e lo convincerete a obbedire e tornare da voi perché questo sarà il suo desiderio. Che addestratori siete? Maldestri, utopisti, «cadaveri» (così potrebbe definirvi Sims), noiosi o sempre in vena di chiacchiere? E il vostro cane, di che stoffa è fatto? «Abbaiatore instancabile», «confuso», «ricettivo»? Qui imparerete a correggere le vostre ingenuità, a conoscere voi stessi, in qualche modo, in relazione a qualcuno che pretendete di migliorare. E, a seconda del carattere del vostro amico, saprete utilizzare strumenti specifici. La corda, per esempio: «la facevo oscillare delicatamente, e l’onda viaggiava lungo tutta la sua lunghezza, informando il destinatario dei miei desideri».
I modelli di Sims sono due cani reali, due storie recenti, due femmine («le femmine sanno pensare in modo più flessibile»): Rose, la Border Collie, e Bonnie, la trovatella Springer Spaniel. Esemplari opposti per anatomia, età e carattere. Lo schema degli obiettivi raggiunti con entrambe (la cagna di un’allevatrice e la sua personale, Bonnie) è sorprendente. Ma guai a pensare di snaturare un dono della natura prezioso e incontaminato come un quadrupede. Non perché sia ingiusto, ma perché, per fortuna, non ce la farete mai.
Una «grammatica del cane», sì: un potente vocabolario dei suoi silenzi, una mappa puntigliosa e ispirata sul percorso che ci tocca per raggiungerlo, anche quando sembra lontanissimo. Ma anche una raccolta di riflessioni sull’esistenza, sulla vita oltre la vita, sul senso profondissimo e disarmante dell’amore animale. L’unico al mondo che può rendere felici in modi infiniti e far soffrire in un modo soltanto: se soffre a sua volta. La spalla, l’amico magico, oggi un po’ meno imperscrutabile. Sottofondo di una vita intera, acquattato soffice e silenzioso in un angolo della nostra.

venerdì 31 agosto 2012

DA "STYLE PREMIUM" ("IL GIORNALE") DI OGGI: Itinerari del gusto: Le città del miele

Post pubblicato in data venerdì 31 agosto 2012.


L’altro lato del Bel Paese. Quello che scorre a fiumi dolcissimi dalla cima ai talloni: da Châtillon (Valle d’Aosta) a Zafferana Etnea (in provincia di Catania). «Le città del miele» sono la svolta per i turisti più golosi e attenti alla salute, ma anche a una tradizione (quella del miele, appunto) che conta in Italia oltre cinquanta tipologie differenti del prodotto più trasversale della natura. Il progetto «Città del miele» porta in decine di località italiane iniziative creative, concorsi e degustazioni, che possono essere il punto di partenza per visitare luoghi incantevoli. Ne abbiamo scoperti dieci che, come il miele, hanno l’aspetto della memoria. Luoghi che parlano la lingua del passato e ne fanno il loro punto di forza ma, allo stesso tempo, abbracciano perfettamente tendenze e curiosità per tutti i palati.
Pane e miele? Il pane da Guinness si trova in provincia di Cuneo, a Niella Tanaro: nel 1980, in questo paesino ricco di grano e viti, ai piedi della Langa cuneese, è stato sfornato il panino imbottito più lungo del mondo. Trecento metri di squisito pane bianco, il piatto forte della città.
A Calice del Cornoviglio (La Spezia), sorge invece un museo d’apicultura. È qui che gli occhi curiosi di tutta la famiglia scopriranno come funziona il macchinoso e paziente processo della dolcezza. Un museo custodito nel cuore del castello di Malaspina, sovrastante l’intera vallata che si estende tra l’alta Toscana e la Liguria.

Tornareccio, in provincia di Chieti, è un museo a cielo aperto di mosaici. Installate per tutto l’anno nell’architettura del borgo, le opere esposte sono oggi cinquantasei. Tessere assemblate che riproducono natura, volti, immagini astratte, e galleggiano anche sulle facciate delle abitazioni. A partire dal 30 agosto, i mosaici costituiscono anche una eccezionale Via Crucis di quindici stazioni, dipinte lo scorso anno da altrettanti artisti contemporanei.
Tra le più importanti «Città del miele» c’è Châtillon. Un paese che ospita due castelli: il Castello Baron Gamba, dei primi del ‘900, e il Castello di Ussel, che ha quasi sette secoli di storia: un vero volto di pietra, arcigno e fantasioso, dell’età feudale. La dolcezza di Châtillon? È tutta nelle straordinarie pasticcerie, e nella sua rinomata cioccolata. Nella vicinissima Sant-Vincent, infatti, i cioccolatini sono una vera e propria forma d’arte, con tanto di laboratorio-museo di macchinari ad hoc. Non solo miele neppure a Matelica (Macerata). Qui vicino sorgono le Grotte dei Frasassi. Un abisso asciutto e bianco di sculture naturali che potrebbe contenere, appena nella prima delle grotte, l’intero Duomo di Milano. Eccellenti gli agriturismi e i Bed&Breakfast della graziosa Matelica, città del miele cantato da Plinio il Vecchio. E il Museo Archeologico custodisce ancora la storia dei Piceni.
Zafferna Etnea (Catania) si allarga sulle pendici dell’Etna. Città record degli apicoltori, nel paesino dall’aspetto tenero e lunare, cosparso di boschi, la pietra lavica è il souvenir obbligato, trasformata sapientemente in scultura.
Bevagna (in provincia di Perugia) è essa stessa un monumento medievale. Qui il miele scorre in una cinta muraria ancora in piedi da mille anni. I resti delle terme romane e del Tempio Romano (appena del II secolo d.c.) sono quanto di più longevo contenga questo gomitolo di strade e vicoli che offrono sorprese anche alla gola. Da non perdere, oltre al miele, l’olio e il tartufo nero, o gli squisiti piatti a base di maiale.
La più grande kermesse delle «Città del miele»? È in assoluto quella di Lazise del Garda. Tra le più belle città murate del Veneto, e senz’altro una delle più rinomate (e alla moda) città del Garda. Da oltre trent’anni, questa località organizza «i giorni del miele»: è da qui che, nel 2001, le Città del miele hanno calcato le sue orme nel promuovere e vitalizzare questo prodotto. A due passi dal parco divertimenti più famoso d’Italia.
Il paese delle fiabe? È Roccascalegna (in provincia di Chieti). Un castello che sporge sullo sperone roccioso, un tempo torre d’avvistamento, maestosa e a prova di vertigini; leggende centenarie e reperti archeologici in uno scrigno di appena milletrecento abitanti. Qui il Medioevo parla ogni giorno col Terzo Millennio.
La città dei murales è invece in provincia di Cagliari, e si chiama San Sperate. 320 dipinti in un perimetro di profumatissimi agrumeti e peschi. Ecco le famose «Pesche di San Sperate».
Ha un gusto antico, eterno, universale e sempre diverso, il miele che parla la nostra lingua, e tutti i suoi dialetti.

mercoledì 29 agosto 2012

DA "IL GIORNALE DI OGGI": Se i gadget allungano le ferie



IL FENOMENO - di Simonetta Caminiti

Eravamo abituati ad aprire gli occhi sull’orizzonte azzurro. La sera, con la pelle calda e dorata dal sole, ci addormentavamo nell’odore della salsedine, disconoscendo i numeri telefonici di colleghi e capi e completamente dimentichi del tempo che passa. E all’improvviso la clessidra ha stillato anche l’ultimo granello di sabbia. Anche quest’anno. Anche stavolta. Costringendoci a chiederci quale sia la via più dolce per reimmergerci nella stantia e frenetica routine del lavoro: qualcosa che ci illuda di essere ancora in vacanza, o qualcosa che, piuttosto, non ci faccia rimpiangere troppo le ferie?
Il consiglio dei guru del saper vivere è: comprate un oggetto superfluo. Da penne all’ultima «tech», munite di telecamera e microfono che neanche l’ispettore Gagdet, a gadget (per l’appunto) che ci coccolano in camera da letto, in ufficio e in cucina, svegliandoci con la luce dell’aurora e un coro festoso di grilli, oppure preparando il caffè con un attrezzo che s’impugna a mo’ di torcia e si collega all’accendisigari della nostra auto. Una sveglia molto speciale e una moka col pedigree. E, se durante l’estate avevamo smesso di andare in bicicletta, quale motivo migliore per pedalare del nostro caricabatterie? Ebbene sì, iphone sdraiato sul manubrio della bici, e una sana pedalata per rifocillare la sua batteria. Il prossimo ottobre – congegnata per chi proprio non tollera un’igiene approssimativa neanche nel pc – arriverà addirittura una tastiera lavabile.
Distribuita da Logitech, non si limita a sopravvivere agli schizzi: è una campionessa subacquea che torna meglio di prima dopo il bagno, al mare o in piscina. Se la shopping-mania è un disturbo compulsivo, una via troppo facile e fasulla per sfuggire al «taedium vitae», è altrettanto vero che un mondo più conciliante lo costruiamo noi stessi, palmo per palmo, impugnando dagli scaffali e portando a casa tanti piccoli dettagli che possono, perché no, ovattare persino il ritorno alla grigia vita d’ufficio… Ecco i nostri suggerimenti.

La sveglia. Phillips Wake Up Light crea un’alba immersa nella natura… sul nostro comodino. Questa sveglia, infatti, simula le luci dell’alba e si accende gradualmente, preparando pian piano il corpo a carburare per tutta la giornata. Simula i suoni della campagna o trasmette una stazione radio. È provvista di collegamento USB. Con 20 impostazioni diverse di luminosità che ne fanno anche una lampada da comodino, una luce che «matura» a mezzora dalla sveglia effettiva. Perché non ci siano più stagioni…

Kraun Doll Speaker da scrivania. Piccoli altoparlanti da scrivania, pesano 60 grammi, e sembrano simpatiche bamboline. Sono distribuite da Kraun. Hanno una batteria a lunga durata, una potenza complessiva RMS di 2,5 Watt e le facce di Bear, Ninja o Geisha. Perfetti per ascoltare musica dei nostri tablet o iphone. Un tocco umano, estetico, divertente, alle casse di tutti i giorni. Non manca la connessione audio Jack da 3,5”. Il prezzo? 19, 90 euro nei punti vendita Computer Discount, Amico, Essedi Shop.

La caffettiera speciale. Handpresso serve il caffè direttamente in macchina. Sono sufficienti una cialda e un po’ d’acqua, dopodiché, collegata all’accendisigari, ci tiene svegli alla guida con un caffè fragrantissimo, sempre pronto all’uso. Un ostacolo caldo e gustoso al sopore al volante: il sogno dei guidatori che diventa realtà in questo maneggevole strumento simile a una torcia che ci permetterà di avere il bar sempre a portata di ruota.

La penna tuttofare. Sembra uscita dai fumetti. Pulse Smarten Libescribe è la penna «magica» che contiene microfono, porta USB, telecamera a infrarossi, audio jack che abilita la registrazione a distanza, altoparlante e un display che rende tutte le funzioni più pratiche. 2 giga di memoria e 139 euro di valore sul mercato: il mondo in tasca. Non ancora famosa come gli smartphone, compete con loro per il gran numero di risorse e capacità, contenute in un formato elegante e nella foggia più discreta del mondo: una semplice bic…

Lenzuola effetto tuffo di notte. Il bagno di mezzanotte? Mai stato più realistico che… tra morbide e fresche lenzuola nelle notti d’autunno. Bassetti distribuisce un set con stampe di acque azzurre, dall’impatto rilassante ed estremamente verosimile, e delfini che guizzano sui nostri cuscini. Su eBay si trovano a 60 euro. Un abisso soffice che concilia bei sogni, e magari ricorda esotici giri in barca (quelli che facciamo ogni anno… o che ci limitiamo a desiderare). E non c’è neanche bisogno di chiudere gli occhi.

Schienale massaggio Shatsu. Anche in ufficio, oggi, si può essere avvolti dal massaggio di una poltrona. Con tanto di massaggio professionale shatsu. Con telecomando, schienale e sedile, Klarfit distribuisce sul mercato una sedia che ci consentirà di dimenticare i rimbrotti del capo o i battibecchi di casa. Relax h24, anche davanti alla scrivania. Con dispositivi che mimano il massaggio nato in Asia, effettuato con pollici e palmi di mano e adesso regolabile in intensità attraverso telecomando. Il benessere economico passa per la poltrona.

Bellissime cover per i Mac. A chi pensava che le custodie trendy fossero un lusso da tablet, il sito www.marware.com offre una gamma di bellissime cover anche per i computer portatili e i Mac. Custodie pratiche ed eleganti, di tutti i colori, da sfoggiare come borse, e a prezzi che partono dai 15 dollari. In bilico tra moda e hi-tech. Su custodiaipod.it, invece, tutto quello che c’è da sapere se si vuole proteggere con stile il proprio tablet: racchiudendolo in materiali sintetici e colori vivaci per tutti i palati.

Caricabatterie da bicicletta. Anche lo smartphone oggi ha un posto sulla nostra bicicletta. Collegato all’alimentatore da bici, infatti (Nokia e Samsung, tra gli altri, producono caricabatterie per cellulari di questo tipo), si ricarica a suon di pedalate. Non ci sarà più bisogno di lasciarlo spento in un anfratto della casa: se è scarico, è tempo di sport anche per lui. Un kit che inizia a funzionare a velocità di camminata, e si ferma quando si raggiungono i 50 km/h. Facilissimo da istallare e compagno inseparabile delle galoppate di settembre…