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giovedì 28 giugno 2012

DAL GIORNALE DI OGGI: Sorpresa: le calorie non sono tutte uguali.




Pensiamo sempre di ridurre tutto a un numero. D’estate, poi, se si tratta di calcolo delle calorie, quasi ci metteremmo a cercarle dove non esistono. O dove, semplicemente, non spaventano. Sì, perché uno studio americano pubblicato dal Journal of American Association ci istruisce oggi su quanto le calorie, da cibo a cibo, possano essere diverse.
Guai a demonizzarle, farsi bastare cifre e bilanci quotidiani: le calorie sembrano tutte uguali come fili d’erba, ma le cose non stanno così. Non solo. Quelli che per secoli sono stati considerati pericolosi attentati alla linea e alla salute (i grassi e gli zuccheri) possono rappresentare un alleato molto strategico per non recuperare i chili persi, e per accelerare i processi di dimagrimento. Come? Come sempre: scegliendo quelli giusti.
Lo studio americano, condotto dal dr. David Ludwig a Boston, ha verificato l’impatto di diete diverse sulla spesa energetica dei pazienti, oltre a quello degli ormoni e dei valori più indicativi sui test del sangue. La difficoltà più comune? Naturalmente, mantenere il peso forma una volta terminata qualunque cura dimagrante. Ma, tra gli altri benefici del mantenimento, a saper scegliere tra gli scaffali giusti, c’è anche il risparmio economico.
La svolta è proprio la distinzione tra gli alimenti ricchi di grassi e di zuccheri «pericolosi», e i cibi che invece, pur contenendo carboidrati o grassi, aiutano a dimagrire prima e meglio. La dieta vincente sarebbe un’alimentazione simile a quella mediterranea, ricca di pesce, frutta, verdure e fibre, certo, ma anche una piccola quantità di mandorle e noci, gli oli più sani e la farina d’avena.
I 21 partecipanti allo studio, di età compresa tra i 18 e i 40 anni, hanno dimostrato l’insuccesso a lungo termine della dieta con più scarsa quantità di grassi. All’inizio, infatti, una dieta contenente il 45% delle calorie dai carboidrati, il 30% dai grassi e il 25% dalle proteine, aveva garantito una perdita di peso pari al 10% del peso corporeo dei partecipanti. Il mese successivo, per 30 giorni, i pazienti hanno sperimentato un’alimentazione con notevole taglio di grassi e zuccheri, cioè una dieta a bassissimo contenuto di carboidrati (la cosiddetta «dieta Atkins»); altri due regimi alimentari sono subentrati nelle otto settimane seguenti. La dieta con risultati peggiori? Quella, appunto, in cui le calorie quotidiane tendevano a escludere i piccoli (falsi) dèmoni della nostra cucina: oli e carboidrati. I trigliceridi dei pazienti sono aumentati, e il cosiddetto «colesterolo buono» si è ridotto. Guai a tagliare categoricamente – parola del dottor Ludwig – qualsiasi sostanza alimentare. Ma quali sono gli zuccheri e i grassi dei quali invece possiamo fidarci? Margherita Caroli, pediatra ed esperta di nutrizione, dice che «leggere tra gli ingredienti di una pietanza “oli vegetali” è come ricevere una lettera anonima: non sappiamo chi ce la manda. Lo stesso vale per i grassi saturi (quelli animali) e oli vegetali come quello di cocco e di palma. E poi gli “zuccheri aggiunti”. I grassi “buoni” sono quelli di altri oli: anzitutto quello dell’oliva, poi l’olio di mais, quello di semi di girasole e di arachidi. Quanto agli zuccheri – prosegue Caroli – sono indicati gli alimenti ricchi di amido, come pasta, riso e pane, purché accompagnati da fibre o, meglio ancora, integrali».
La ricetta vincente, insomma, è una vecchia e sempreverde filosofia. Smascherare i nemici, lasciarsene sedurre ma con grazia, e perché no, invitarli a cena…

domenica 24 giugno 2012

DAL GIORNALE DI OGGI: Luisa, l’«Insegnante d’Italia» che tutti vorremmo avere



«Sarò il vento» recita una sua poesia. Come il vento, passare attraverso foglie, attraversare terre e acque, e ovunque «lasciare il segno: la parola “insegnare” significa proprio questo».
Luisa Gorlani è l’Insegnante d’Italia. Un premio ricevuto in questi giorni, a Roma, dalla Giuria del Premio Eudonna. Luisa è nata a Legnago, in provincia di Verona, ma è cresciuta a Brescia e ha cambiato città per diciotto volte: il destino di suo marito, ammiraglio della Marina Italiana. Oggi ha capelli sulle spalle color argento e un bel paio d’occhi chiari. Spiega la sua vita, che come una matrioska sembra serrarne cento: crocerossina, psicologa, saggista e drammaturga. Ma soprattutto, insegnante di lettere antiche e terapeuta della poesia, che quasi descrive come la forma più operativa e universale della speranza.
Padre filosofo che però, per mantenere i quattro figli, faceva il segretario comunale, fin da bambina Luisa ha nutrito il sentimento del sacrificio e della scoperta. Simile alla più tenace «Anna dai miracoli», ha avuto allievi da Nord a Sud. Percorrendo tragitti trafelati col pancione e la sua Cinquecento, sempre pronta a impacchettare tutto e conoscere chissà chi. Guarendo con la creatività del verso («la poesia delle paure, la poesia del segreto…») balbuzie refrattarie ai maggiori specialisti europei, traumi sepolti in episodi fortuiti della prima infanzia, ambienti destinati al degrado sociale e culturale. Tirando su generazioni di piccoli uomini dei quali ricorda, uno per uno, i nomi di battesimo. Già sotto i platani della sua adolescenza, quando sgambettava da un sasso all’altro tra i fiumi, le sue giornate si affollavano dei personaggi di Dostoevskij e Tolstoj, consegnando la solitudine a un mondo di letteratura che sarebbe stato il suo destino. «La letteratura è il luogo delle risposte» dice.
Suo marito lo ha conosciuto in Sicilia. «Mi sentì parlare con una bambina e dirle che non sapevo nuotare – racconta – . Allora non sapevo che fosse un sommergibilista. Aveva spalle larghe come quelle di Atlante, capaci di sorreggere il mondo». Un giorno vivevano entrambi a Taranto e lui era via da un mese, sparito nel mare a bordo di un sommergibile: Luisa non sapeva più neppure se fosse vivo, finché una telefonata, a scuola, non le diede la notizia del suo ritorno. Doveva correre a vederlo, almeno per un istante. Ma quei ragazzi avevano un’indole ribelle, le reazioni più scomposte che avesse mai visto, un rigetto incondizionato e violento delle regole: persino i vetri delle macchine, fuori dalle scuole, spesso li si trovava in frantumi. Eppure la sua classe le regalò quell’abbraccio da lontano, mentre dal mare il sorriso dell’ammiraglio riaffiorava per tornare a casa. I ragazzi restarono ad aspettarla nella quiete che solo lei aveva saputo impartire a tutti, a forza esercizi, ostinati e costanti come un pendolo, puntati alla loro creatività e alla capacità di affidarsi.
A Cesano invece (35 chilometri da Roma), ha insegnato agli studenti i tesori della loro stessa terra. Si vide circondata da meraviglie archeologiche, stornelli di nonne ormai estinti, cacciatori di nome Omero, luoghi e persone che, senza saperlo, detenevano reperti preziosi scolpiti nell’architettura e nelle nenie. Con quei ragazzi, Luisa Gorlani ha scritto un libro di archeologia. E per commentare la frase di Paul Nizan (traccia dei recenti esami di maturità), su quanto sia difficile avere vent’anni, sostiene che la più grande paura di oggi è quella di sempre: l’ignoto. «Ma in Val Camonica conoscevo una vecchietta che si sedeva fuori dalla porta “ad ascoltare il sole”. Insegnava a sua figlia che chiunque può precipitare in un burrone ma, allo stesso modo, risalire. E deve farlo da solo». Luisa Gorlani conosce come le sue tasche il nichilismo di Sartre, «la Noia» di Moravia, ma a queste risponde con la «logica del fare», la parte preziosa e costruttiva delle nostre fragilità. E, come dice una sua poesia, «al diavolo il male del vivere».

venerdì 8 giugno 2012

DAL GIORNALE DI OGGI: Le marche tra arte e cacce al tesoro. E tutto con un'app


Tirare fuori l’arte dalla naftalina e spargere ovunque i suoi tesori. È questa l’idea di «Happy Museum», il primo festival dei musei delle Marche. Settantadue musei pubblici e ventiquattro privati che, a partire dallo scorso 18 maggio (e fino a metà dicembre), si sono colmati di spettacoli, mostre, concerti, degustazioni, e iniziative sperimentali per incontrare la curiosità dei più: i palati di tutte le taglie, incluse le più pigre, e tutte le generazioni.
La terra di Raffaello si svecchia, scende a un compromesso creativo coi tempi: un percorso «tattile» al Museo Archeologico Nazionale, uno «al buio», l’idea precisa che l’arte possa diventare un contesto di evasione e socialità, più a buon diritto di un centro commerciale o degli aperitivi tradizionali.
Ecco perché non manca – e anzi ne è parte integrante – un occhio molto vigile sulle nuove tecnologie. A partire dalla divulgazione del festival nei principali social network. Ma soprattutto attraverso l’idea di «App Happy Museum»: un’applicazione che il festival dei musei delle Marche riserva ad I-phone e Android. È nella cornice di Città del Vaticano, a Roma, che è stato presentato questo progetto di marketing museale, nel corso di una conferenza lo scorso 31 maggio. All’interno della mostra «Meraviglie delle Marche», eccezionalmente a Roma presso il Braccio di Carlo Magno in San Pietro, è stato l’assessore ai Beni e Attività culturali della Regione Marche, Pietro Marcolini a illustrare lo spirito e gli obiettivi del progetto: «far incontrare generazioni e culture diverse alla scoperta del patrimonio regionale con modalità innovative e divertenti». L’antico che diventa uno stimolo, un collante prezioso, una riscoperta che aggrega e distende, nel linguaggio (quello degli smartphone) ormai più pratico per tutti.
L’App Happy Museum si divide in due sezioni: la Guida ai musei, che contiene la lista di tutti i musei rientranti nel festival, con le loro opere e le loro descrizioni; e la Caccia al Tesoro, il gioco più longevo del mondo che adesso si svolge all’interno dei musei e grazie al cellulare, alla ricerca di cinque tesori diversi, in cinque musei diversi, con un libro in palio.
La riscoperta delle nostre radici artistiche, un possibile battistrada, audace e capillare, per apprezzare senza paura e senza noia le meraviglie del Bel Paese.

venerdì 1 giugno 2012

DAL GIORNALE DI OGGI (copertina "Style Week"): Tutti pazzi per il pallone, soprattutto se è un gadget



Post pubblicato in data sabato 2 giugno 2012.

Paradossi e miracoli del pallone: quel pianeta in bianco e nero che divide tutto l’anno, percosso, incitato, ruotante tra sogni e polemiche. E poi, a un certo punto in estate, simile a un patriottico ombrellone, fa dimenticare la guerra civile durata tutto il campionato e le sue cicatrici quanto mai italiane.
Euro Uefa 2012, l’appuntamento col campionato europeo che esordirà il prossimo 8 giugno, veste l’azzurro della nazionale, le tradizioni che da sempre ne fanno un fenomeno di costume, un pretesto aggregante e adrenalinico, un leggero e imprevedibile transfert attorno al quale, puntuale, si rinnova anche il merchandising. Portafortuna e rituali soggettivi, souvenir che abitano tavole e soggiorni, in realtà il torneo di calcio continentale ha sempre una mascotte vera e propria, con un curriculum e un battesimo ufficiali. Nel 1980, in casa nostra, toccò addirittura a Pinocchio patrocinare i testa a testa allo stadio: quest’anno invece è la Warner Bros a distribuire la mascotte del campionato. Si tratta di un paio di gemelli, Slavek e Slavko, calciatori di nazionalità polacca e ucraina (per i Paesi in cui gli Europei saranno disputati): la Warner ha addirittura aperto un «referendum online» perché i loro nomi fossero scelti con strumenti democratici e d’avanguardia.
Anche i grandi marchi, come a Natale, cambiano aspetto, colore e slogan, quando arrivano i super tornei. Birra Moretti lancia addirittura una maxi-lattina da quattro litri che, sotto le spoglie di un pallone da calcio, consente alla bevanda di mantenersi per trenta giorni in frigo, fresca e perfetta da consumare alla spina in otto ore; e rincara, Moretti, con un ricettario di otto piatti sfiziosi, menù estivi che colorano il rito dei pranzi e delle cene di fronte alle partite, e che sarebbero ideali da consumare nell’intervallo. Ecco perché si suggerisce «Le ricette del 45°».
Era il 2010 quando Coca Cola si cimentò in un «packaging» di calciatori esultanti, e la Nike aveva prodotto colori pastello raffiguranti atleti famosi: era l’anno degli ultimi mondiali.È questa la stagione in cui la gadget-mania fa strage anche online, tra griffe famose e artigianati fai da te ancora più ingegnosi.
Intramontabili le figurine, quest’anno targate Polonia-Ukraina 2012, e già disponibili nei mercati dell’usato. Sciarpe della nazionale, portachiavi, strumenti per applaudire con mani di plastica, riservando alle proprie imprecazioni e suppliche al cielo. Teli da mare, col feticcio di un calciatore troppo pettoruto e formato incredibile Hulk per essere vero. E imperversano i reperti: le aste di vecchi articoli di giornale, tracce di carta fragranti e preziose, per i più devoti, quanto lo sarebbe un articolo sulla fine di una guerra mondiale. Oggi, una pagina originale del 1980, vale almeno cinquanta volte il suo prezzo nelle edicole. Per non parlare dei videogiochi già in circolazione e dei tornei online banditi sulla scia di Euro Uefa 2012.
Quanto agli oggetti che scenderanno sul serio in campo con i giocatori, «Tango 12» è il nome del pallone, prodotto da Adidas, che palpiterà come cuore umano tra gli stadi della Polonia e dell’Ukraina. Deve il suo nome al celebre ballo per le decorazioni sulla superficie, ed è stato esposto come una divinità lo scorso dicembre, per i sorteggi dei gironi della fase finale. Il logo ufficiale, invece, richiama le belle campagne dei due Paesi che ospitano il torneo: è un fiore creato con la tecnica del taglio della carta praticata in quelle zone, «papercraft», e porta i colori delle loro bandiere.
Evasioni a cavallo tra il noto della tradizione e l’ignoto di un risultato: quel numero che come nella vita, da un momento all’altro, potrebbe cambiare ogni cosa. Muscoli che galoppano sul manto erboso al ritmo di inni nazionali, ricerche d’identità disimpegnate e, proprio per questo, viscerali e autentiche come solo lo sport sa fare. A ciascuno i suoi riti, i suoi simboli, le emozioni che cerca dappertutto da quattro anni o molto di più.