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domenica 13 gennaio 2013

Da "il Giornale di oggi" (Cronache di Milano).

VITTA DA DOPPIATORI A MILANO. "SIAMO BRAVI MA PENALIZZATI".



Sono invisibili e, a modo loro, sono dappertutto. Come forse solo gli dèi. «Prestano le voci» - così gradiscono che si dica - ai volti di Hollywood, alle star dei cartoni animati, alle lapidarie «frasi da pubblicità». I doppiatori italiani hanno due capitali: Roma e Milano. E, se i film di circuito, gli attori più famosi d’oltreoceano sono distribuiti quasi esclusivamente a Roma, anche Milano fa letteralmente sentire la sua voce. Patria (sonora) di telefilm, serie d’animazione cult, soap-opera che hanno fatto epoca: «Ultimamente affidano un po’ di cinema anche a noi», spiega la doppiatrice milanese Patrizia Salmoiraghi (tra le altre, la «voce misteriosa» di Caterpillar, Radio Rai2). «Finalmente stanno capendo che siamo bravi quanto i colleghi romani. Per molto tempo, siamo stati considerati “figli di un dio minore”». Eppure Milano ha dato i natali ad Antonio Colonnello (la mitica voce di Fonzie), Renato Mori (Morgan Freeman), Roberto Del Giudice (l’incorregibile Lupin), Veronica Pivetti (tuttora, tra l’altro, doppiatrice) e Cristina Boraschi (Julia Roberts). Che vita è quella di un doppiatore? Che formazione richiede e che mercato ha? La retribuzione di queste «creature del buio» parte anche a Milano dai «gettoni di presenza»: un’entrata fissa di 72, 71 euro per il doppiatore che viene scritturato per un ruolo. Il resto delle tariffe si basa sulle «righe» recitate (una riga singola 1,54 euro per i cartoon; 2,34 per i film). Un direttore di doppiaggio - il vero e proprio regista dell’edizione italiana - viaggia sui 167 euro a turno (un turno di circa 3 ore). Queste, almeno, le cifre del contratto nazionale, cioè il minimo sindacale assegnato a questi professionisti. «Ci sono poi colleghi con più o meno potere contrattuale - prosegue Salmoiraghi - ma si tratta perlopiù delle “voci ufficiali” di qualche grande attore».
Guai a chiamarli «doppiatori di Milano», i doppiatori di Milano. «Siamo attori italiani»: sono perfettamente d’accordo Simone D’Andrea (una delle voci italiane di Colin Farrell e Orlando Bloom) e Patrizio Prata (eroe vocale di Dragon Ball e Pokemon, tra gli altri). Sono spesso in trasferta nella capitale, ma sono nati e si sono formati a Milano. «Da bambino - racconta Prata - volevo diventare una “voce”: non sapevo cosa fosse il doppiaggio e già volevo farlo. Giocavo solo con registratori, giradischi e microfoni, ma avevo il terrore della corrente, così chiedevo a mio fratello di inserire le spine elettriche nella presa. Oggi, lui è un elettricista. E io un doppiatore». I suoi colleghi che vivono a Milano sono meno numerosi di quelli di Roma. «Alcune fasce, per esempio non sono coperte - prosegue Prata - e i ruoli dei bambini, a Milano, sono interpretati spesso da donne adulte». Mestiere che qualcuno, nel settore, paragona agli artigiani del vetro di Murano: professione che tende ad essere tramandata da sempre di padre in figlio. «Io - dice Simone D’Andrea - ho iniziato a doppiare a 17 anni. Se lo consiglierei a mio figlio? Può darsi, ma non a Milano. Milano è una città ricca di talenti, nel doppiaggio, ma questi talenti sono penalizzati. C’è sempre meno lavoro. Chi lo sa il perché? Forse anche ragioni politiche...».

IO HO FATTO PARLARE JULIA ROBERTS


È nata a Milano, Cristina Boraschi. Una tra le voci italiane più belle del cinema. Quella che fa parlare nella nostra lingua Julia Roberts, Meg Ryan, Sandra Bullock, Geena Davis, Julienne Moore.
Roma le ha regalato una carriera invidiabile. Ma quando e perché lasciò Milano?

«Quando mio padre morì, io, mia madre e mia sorella dovemmo trasferirci a Roma. Lì frequentai l’università e poi iniziai a lavorare. Ma Milano non l’avrei mai lasciata e conservo bellissimi ricordi».
Per esempio?
«La neve compatta sulla strada: le impronte al mattino, nel tragitto verso scuola. La strada che facevo per andare al liceo mi faceva attraversare il Castello Sforzesco (la mia scuola era il liceo Parini). Durante il mio primo inverno a Roma nevicò, ma fu un caso eccezionale...». Quali furono i suoi primi passi da doppiatrice?
«Un corso di recitazione dopo la laurea. Ci fecero assistere a un turno di doppiaggio. Lo vidi, lo amai».
Quali sono i suoi ruoli indimenticabili?
«Direi tutti quelli in cui ho doppiato Julia Roberts. E poi Ally McBeal»
La sua «battuta storica»?
«“Stronze lumachine!” (Pretty Woman)». Che mestiere è quello del doppiatore?
«Una volta era un gran bel lavoro. Oggi si va sempre di corsa, la qualità dei prodotti è molto inferiore. Ma resta un mestiere pieno di aspetti divertenti e, svolto a un livello, remunerativo».
Che effetto fa essere una «voce del cinema»?
«Quanto sento qualcuno che mi dice “Io ti seguo da una vita!” sono ancora stranita. Ma è innegabilmente bello».





IL GONFALONE DI MILANO PER L'ADDIO ALLA MELATO


Anche il Gonfalone di Milano saluta Mariangela Melato per l’ultima volta. Nella folla di volti dello spettacolo e della politica, intorno alla Chiesa degli Artisti a Roma, non è mancata la città in cui la grande attrice era nata e che aveva amato tanto. «Aveva un profondo legame con la sua città, perché ci era nata e cresciuta - ha commentato il sindaco Giuliano Pisapia -, perché era figlia di un ghisa, perché da Milano aveva preso lati del suo carattere». Era stata proprio lei, in una delle ultime interviste a Radio Vaticana, a ricordare la scoperta di se stessa, della sua voglia di sperimentare e delle sue mille anime, quando cercò di essere ammessa all’Accademia di Milano. A Brera, aveva invece studiato per diventare pittrice, e aveva lavorato come vetrinista presso La Rinascente per pagare i corsi di recitazione di Esperia Sperani. Un percorso cominciato con sacrifici, nella sua città, approdato poi nella capitale. E ovunque, grazie ai capolavori che avrebbe regalato al teatro italiano.
Mariangela, considerata tra i più grandi talenti della scena nazionale, tornava spesso nella sua città, ma si è spenta due giorni fa a Roma e lì è stata abbracciata per l’ultima volta da Renzo Arbore, suo compagno nel lavoro e nella vita. Ai funerali di ieri, Arbore era al fianco di Anna Melato, cantautrice sorella di Mariangela, ai primi bianchi in una chiesa già colma prima che il feretro fosse arrivato. Moltissimi i volti della gente comune, confusi ieri nella chiesa con quelli di Lina Wertmuller, Ettore Scola, Giancarlo Giannini (spesso inseparabile partner di Melato sul grande schermo), ma anche Paolo Villaggio, Marisa Laurito, Ursula Andress, Gigi Proietti e moltissimi artisti. Per desiderio stesso dell’attrice scomparsa, le ultime parole per lei sono state quelle di Emma Bonino. «Non amava essere chiamata una donna forte - è stato il suo commento durante le esequie di ieri - . Io la ricorderò sempre come una donna autenticamente coraggiosa». Donna tutta italiana, Mariangela Melato, che si era calata nei panni più trasversali, regalando al cinema (ma soprattutto al teatro) personaggi di tutte le taglie e le provenienze. «Versatile e curiosa» amava definirsi: ma sempre di identità, legata come pochi alle sue radici. «La stessa attrice - ha spiegato ieri Pisapia - ha ricordato che a Milano ha imparato a lavorare molto seriamente, a essere puntuale. Qui c’erano le sue origini».

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